Wall Street incerta sul da farsi. Riprende trading titolo GM post annuncio, sell off su Micron Technology
Colpo di reni Wall Street, che imbocca la via rialzista dopo i tonfi ripetuti sofferti nel secondo trimestre. A dettare legge è tuttavia la volatilità.
I principali indici azionari Usa azzerano così le perdite accusate in premercato, mettendo a segno un solido progresso nei primi minuti dell’avvio di seduta. Dopo qualche minuto, la borsa Usa torna a indebolirsi.
Protagoniste diverse notizie arrivate dal fronte societario. Wall Street si prepara a un lungo week-end. Wall Street riaprirà i battenti il prossimo martedì, 5 luglio, dopo la pausa di lunedì 4 luglio, giorno in cui si celebra negli Stati Uniti l’Indipendence Day.
Passate le 16 ora italiana, il Dow Jones è piatto attorno a
30.784 punti; lo S&P 500 sale dello 0,20% a 3.793. Più sostenuto il tentativo di recupero del Nasdaq, che avanza di dello 0,40%, a quota 11.068. Ma in un contesto di volatilità come quello attuale, i sell sono in agguato.
Sell off sul titolo Micron Technology, che cede a Wall Street più del 5% dopo che il gruppo produttore dei memory chip numero uno degli Stati Uniti ha annunciato un outlook sulle vendite e sull’eps del suo quarto trimestre fiscale decisamente inferiore alle stime degli analisti. Il colosso americano ha avvertito che il fatturato si attesterà a 7,2 miliardi di dollari, molto al di sotto dei $9,14 miliardi stimati dal consensus. Escludendo alcune voci di bilancio straordinarie, l’utile per azione sarà inoltre di appena $1,63, molto al di sotto dei $2,57 attesi dagli analisti.
L’outlook di Micron Technology contribuisce ad alimentare le preoccupazioni sul rischio di un forte rallentamento in due settori chiave delle memory chip di Micron: il settore dei computer e quello degli smartphone.
Focus anche sulla sospensione del titolo del colosso dell’auto GM, dopo l’annuncio della società, che ha avvertito che i risultati di bilancio del secondo trimestre saranno colpiti dai problemi che hanno interessato e continuano a interessare le catene di approviggionamento, tra cui i ritardi nelle consegne di chip necessari per la produzione dei veicoli. Il gigante ha tuttavia confermato l’outlook per il 2022. Dopo la sospensione, il titolo è tornato nelle contrattazioni con un rialzo del 3% circa, per poi smorzare in modo deciso i guadagni.
Protagonista anche Apple, sulla scia del giudizio di Samik Chatterjee, analista di J.P. Morgan Securities, che ha confermato il rating “overweight” sul titolo, aggiungendo di non essere preoccupato riguardo alle prospettive del colosso degli iPhone.
L’analista senior della divisione di attrezzature per networking e IT Hardware di JP Morgan ha un target price sul titolo Apple di 200 dollari per il mese di dicembre, in crescita di 46 dollari rispetto al valore a cui il titolo ha chiuso la sessione di ieri.
Le quotazioni di Apple sono scivolate di quasi il 22% nel secondo trimestre del 2022, soffrendo il ribasso più forte dal quarto trimestre del 2018, ai tempi del forte sell off che si era abbattuto sull’azionario in generale, e a fronte di un outlook che non aveva convinto il mercato. Il titolo Apple è tuttavia piatto.
In quella che è la prima seduta del terzo trimestre e della seconda metà del 2022, gli investitori cercano di riposizionarsi sull’azionario, dopo il massacro del secondo trimestre, scatenato nelle ultime settimane soprattutto dal timore di una recessione. Timore che, nelle ultime sedute, è stato confermato non solo dal trend dell’azionario, ma anche dal trend dei Treasuries Usa, tornati a essere oggetto di acquisti. Di conseguenza si assiste a un calo dei tassi, con quelli decennali che tornano a viaggiare sotto la soglia del 3%, in flessione oggi fino al 2,805%.
Sembra avallato l’outlook di alcuni strategist, come quelli di Barclays, che ritengono che il mercato del reddito fisso potrebbe tornare oggetto di acquisti dopo la capitolazione sofferta, e che l’azionario non avrebbe toccato invece ancora il fondo.
Lo S&P 500 è reduce dal semestre peggiore in più di 50 anni, dal 1970, con una perdita da inizio anno pari a -20,6%. Negativa anche la sessione di ieri, l’ultima del secondo trimestre dell’anno, con l’indice azionario Usa benchmark che ha perso quasi lo 0,9%, a 3.785,38 punti. Il Dow Jones Industrial Average ha ceduto 253,88 punti, o -0,8%, a 30.775,43, mentre il Nasdaq Composite è arretrato dell’1,3% a 11.028,74 punti.
Nel secondo trimestre del 2022, lo S&P 500 ha perso più del 16%, riportando il trimestre peggiore dal 2020, in particolare dall’inizio dell’allarme globale sulla pandemia Covid-19. L’indice è scivolato nel secondo trimestre in mercato orso, a un valore inferiore di oltre -21% rispetto al precedente record testato all’inizio di gennaio.
Il Dow Jones Industrial Average è crollato dell’11,3% nel secondo trimestre, portando le perdite dall’inizio dell’anno a oltre -15%; il Nasdaq Composite ha sofferto il peggiore trimestre dal 2008, con un tonfo pari a -22,4%, confermando la fase di mercato orso, a un valore inferiore di quasi -32% dal record testato nel novembre del 2021 e in flessione del 29,5% dall’inizio del 2022.
Ad affossare l’azionario nelle ultime settimane è stata soprattutto la paura di un hard landing negli Stati Uniti, che si teme possa essere scatenato dal ciclo di rialzi dei tassi Usa che la Fed di Jerome Powell sta portando avanti, al fine di far scendere l’inflazione al target del 2%.
Gli economisti e i mercati temono che strette monetarie troppo aggressive – necessarie per la Fed per smorzare le pressioni inflazionistiche – finiscano per far scivolare l’economia americana in recessione.
Il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, si riunirà il prossimo 26 luglio per annunciare la sua decisione sui tassi il 27 luglio, dopo la stretta di 75 punti base dell’ultima riunione di inizi giugno, che ha portato il costo del denaro al nuovo range compreso tra l’1,50% e l’1,75%: la stretta monetaria è stata la più forte dal 1994, contro un’inflazione che viaggia negli Stati Uniti al record degli ultimi 40 anni.
A tal proposito, la pubblicazione del rapporto sulle spese per consumi e redditi personali avvenuta nella giornata di ieri ha messo in evidenza il rallentamento dell’indice PCE core, il parametro preferito dalla Federal Reserve per monitorare l’inflazione.
Il calo ha indotto gli investitori a sperare che l’inflazione abbia toccato finalmente il picco. Il rallentamento evidente delle spese per consumi ha tuttavia zavorrato il sentiment già negativo dei mercati, avallando i timori sull’arrivo di una recessione.
Su base annua e nel mese di maggio l’indice PCE core degli Stati Uniti è salito del 4,7%, meno del +4,8% atteso dal consensus, e in rallentamento rispetto al precedente rialzo del 4,9%.
Su base mensile, il trend è stato di un aumento dello 0,3%, meno del +0,4% atteso. E bastano questi numeri a far sperare che l’inflazione stia rallentando il passo.
Il PCE headline è salito invece su base annua del 6,3%, stesso ritmo di aprile. Su base mensile, il rialzo è stato dello 0,6%, in accelerazione rispetto al +0,2% precedente.
Guardando agli altri numeri, i redditi personali sono saliti dello 0,5% a maggio, come da attese, mentre le spese per consumi hanno rallentato il passo, salendo a maggio dello 0,2%, rispetto al +0,9% precedente, al di sotto del rialzo atteso dal consensus, pari a +0,4%.
E questo trend potrebbe essere un segnale di allarme per le condizioni di salute dell’economia americana.