Wall Street: futures in rialzo, speranza su picco inflazione Usa e su Fed meno hawkish. Attenzione all’altro spread che fa paura
A Wall Street i futures sono in lieve rialzo in attesa del market mover cruciale atteso da settimane, che condizionerà le prossime mosse della Fed e l’economia degli Stati Uniti: è il dato sull’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo, relativa al mese di giugno. Ieri chiusura negativa per Wall Street: il Dow Jones Industrial Average è sceso di 192,51 punti o dello 0,62% a 30.981,33, mentre lo S&P 500 ha ceduto lo 0,92% a quota 3.818,80. Il Nasdaq Composite ha perso lo 0,95% a 11.264,73.
Alle 13.19 ora italiana, i futures sul Dow Jones salgono dello 0,16%; quelli sullo S&P 500 avanzano dello 0,22%, mentre quelli sul Nasdaq mettono a segno un rialzo dello 0,34%. Il rialzo si spiega con la speranza che l’inflazione Usa misurata dal CPI abbia toccato il picco nel mese di giugno.
Il consensus degli analisti prevede una ulteriore accelerazione dell’inflazione, ovvero una crescita dell’indice CPI dell’8,8% su base annua, dopo il +8,6% di maggio.
Il dato è cruciale nel determinare le aspettative sulle prossime mosse del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, che si riunità il prossimo 27 luglio. Aspettative che per ora sono di una stretta monetaria della Fed di Jerome Powell di 75 punti base, così come nell’ultima riunione del 15 giugno scorso, quando i tassi Usa sono stati portati al nuovo range compreso tra l’1,50% e l’1,75%.
D’altronde la pubblicazione, venerdì scorso, del report sull’occupazione Usa di giugno, ha messo in evidenza una crescita di 372.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione che è rimasto invariato al 3,6%. La crescita dell’occupazione è stata decisamente più forte di quanto atteso dagli analisti: sia gli economisti di Goldman Sachs che il consensus avevano previsto un aumento di nuovi posti di lavoro di 250.000 unità, inferiore all’aumento delle payrolls di 390.000 del mese di maggio.
Una eventuale nuova fiammata dell’inflazione che verrà probabilmente confermata nella giornata di oggi con il dato CPI, insieme alla solidità del mercato del lavoro, potrebbe avallare le attese di una nuova stretta monetaria, da parte della Fed di Jerome Powell, di 75 punti base.
La crescita dell’inflazione continua ad angustiare tutto il mondo, e diverse banche centrali. Oggi sono stati annunciate due strette monetarie, entrambe di 50 punti base, dalla banca centrale della Corea del Sud e dall’RBNZ, la banca centrale della Nuova Zelanda.
La banca centrale della Corea del Sud ha annunciato di aver alzato i tassi principali di riferimento di 50 punti base, dall’1,75% al 2,25%. La stretta monetaria, in linea con le attese, è stata varata per combattere l’aumento dell’inflazione, così come sta avvenendo nel caso di diverse altre banche centrali del mondo. Nel mese di giugno, l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) è salita in Corea del Sud del 6% su base annua, al ritmo più forte dal novembre del 1998, dai tempi dunque della crisi finanziaria che colpì l’Asia.
banca centrale della Nuova Zelanda, ha annunciato di aver alzato i tassi principali di riferimento di 50 punti base, dal 2% al 2,5%, in linea con le attese degli analisti.
Dal comunicato diffuso contestualmente al rialzo dei tassi è emerso che “la Commissione ritiene appropriato continuare a rendere più restrittive le condizioni monetarie, e dunque ad alzare il tasso di riferimento OCR fino al livello in corrispondenza del quale può essere sicura di riportare l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo al livello target.
In Nuova Zelanda, il CPI viaggia al 6,9%, tasso record degli ultimi 32 anni.
Sul mercato dei Treasuries Usa, Si allarga sempre di più lo spread, già negativo da un bel po’ di sessioni, tra i tassi dei Treasuries a 10 anni e i tassi dei Treasuries a due anni, a conferma del fenomeno dell’inversione della curva dei rendimenti Usa.
Per Tom Essaye di The Sevens Report l’allargamento del differenziale “è un chiaro avvertimento di recessione”, soprattutto, a suo avviso, se lo spread raggiungerà i 15 punti base.
I tassi sui Treasuries a due anni rimangono invariati, al momento sopra la soglia del 3%, al 3,037%, mentre i decennali viaggiano attorno al 2,95%, in lieve flessione.
Per Essaye, interpellato dalla Cnbc, se lo spread dei tassi Usa a 10-2 anni dovesse rimanere negativo per segnare anche nuove accelerazioni al ribasso, allora “si tratterebbe di un segnale chiaro di recessione dalla curva dei rendimenti nel tratto 2-10 anni, fattore che ci renderà più cauti nell’allocazione sull’azionario”.