Wall Street frenata da inflazione e paura tassi Fed: DJ -300 punti, Nasdaq -2%. Ecco cosa farà Powell secondo i mercati
L’incubo inflazione continua ad affliggere Wall Street. Reso noto prima dell’inizio della giornata di contrattazioni l’indice dei prezzi al consumo CPI, relativo al mese di settembre. L’accelerazione dell’inflazione core su base annua, in particolare, ha portato i mercati a paventare nuovi rialzi dei tassi anti-inflazione da parte della Federal Reserve di Jerome Powell. I sell off si abbattono sulla borsa Usa. Alle 16 circa ora italiana, il Dow Jones riduce tuttavia le perdite iniziali e, dopo aver perso più di 500 punti, arretra di 350 punti circa (-1,17%), a 28.868 punti circa; lo S&P 500 perde l’1,43% a 3.525, mentre il Nasdaq Composite segna un ribasso del 2% a 10.215. Con una perdita superiore a -3% all’inizio della sessione, il Nasdaq è scivolato oggi a un valore inferiore rispetto al record testato nel novembre del 2021 di oltre il 37%. Lo S&P 500, sempre nei primi minu5ti di contrattazione, è sceso sotto la soglia di 3.500 punti per la prima volta dal novembre del 2020.
Dopo la diffusione del dato relativo all’inflazione i mercati hanno prezzato di fatto l’arrivo di una quarta stretta monetaria da parte della Fed di 75 punti base, nel prossimo meeting del 1-2 novembre, con una probabilità del 98%. Aumentata al 62% la probabilità anche di un quinto rialzo dei tassi consecutivo di 75 punti base.
Sui mercati si rinfocolano di conseguenza le speculazioni sul tasso terminale: i trader ora stanno scommettendo su una carrellata di strette monetarie da parte di Powell & Co che porterà i tassi ad avvicinarsi al 5%, prima che la banca centrale ponga fine ai rialzi, nella primavera del 2023.
Le aspettative sono su tassi sui fed funds in crescita fino al 4,9% entro il prossimo aprile, rispetto al 4,65% prezzato nella giornata di ieri.
Tornando al dato di oggi, nel mese di settembre l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti è salito su base mensile dello 0,4%, il doppio rispetto alle attese, accelerando il passo rispetto al +0,1% precedente. La componente core – depurata dai prezzi dei beni energetici ed alimentari – è balzata dello 0,6% su base mensile, oltre il +0,5% stimato e come nel mese di settembre.
Su base annua l’inflazione misurata dall’indice CPI è balzata dell’8,2%, rallentando il passo rispetto alla crescita dell’8,5% del mese precedente, ma salendo a un ritmo superiore al +8,1% atteso.
L’inflazione core ha accelerato inoltre il passo, dal +6,3% di agosto al +6,5%, in linea con le attese. E’ il 28esimo mese consecutivo che l’indice CPI core sale, approdando ora al record dall’agosto del 1982.
Il balzo dell’inflazione core ha fatto scattare subito al rialzo i tassi sui Treasuries e il dollaro Usa: il boom del biglietto verde ha portato l’euro a perdere più di mezzo punto percentuale, fino a 0,9652. Il dollaro si è rafforzato sullo yen dello 0,44% a JPY 147,58. Treasuries sotto pressione, con i tassi dei titoli di stato Usa a due anni che sono schizzati subito di 19 punti base volando al 4,48%, per poi volare ulteriormente oltre la soglia del 4,5%. La soglia del 4,5% è stata superata per la prima volta dal 2007. I tassi dei Treasuries a 10 anni sono tornati a superare la soglia del 4%.
Il trend dell’indice dei prezzi al consumo conferma i timori degli investitori (e dei consumatori) legati alla fiammata dei prezzi, alimentando le speculazioni su rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed ancora molto aggressivi.
D’altronde, i numeri dimostrano che, nonostante le maxi strette monetarie da parte della Banca centrale americana guidata da Jerome Powell, l’inflazione non si sta sfiammando. La Federal Reserve potrebbe dunque propendere per rialzi dei tassi ancora più forti.
Ieri sono state diffuse le minute relative all’ultimo meeting del Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale Usa, relative al 21 settembre scorso, quando i tassi principali di riferimento sono stati alzati di 75 punti base, come da attese.
La banca centrale americana ha portato i tassi Usa nel range compreso tra il 3% e il 3,25%, al record dal 2008, procedendo alla terza stretta consecutiva di 75 punti base.
Dai verbali è emerso che la Fed è intenzionata a proseguire nel percorso di rialzi dei tassi, fino a quando il problema dell’inflazione galoppante degli Stati Uniti non sarà risolto.
“I partecipanti (al Fomc) – si legge nei verbali della Fed – hanno ritenuto che la Commissione dovesse muoversi verso, e poi mantenere, un approccio di politica (monetaria) più restrittivo, al fine di centrare il mandato della Commissione, volto a promuovere la massima occupazione e la stabilità dei prezzi”.
Le minute della Fed continuano, rimarcando che l’inflazione “finora mostra pochi segnali di indebolimento”, fattore che ha portato gli esponenti del Fomc a “rivedere al rialzo l’outlook sulle strette monetarie necessarie per centrare gli obiettivi della Commissione”.
L’inflazione, si legge ancora nei verbali, è rimasta alta in modo inaccettabile, ben superiore al target della Fed di lungo termine, pari al 2%.
“I partecipanti hanno rilevato che i recenti dati relativi all’inflazione hanno in generale superato le attese e che l’inflazione sta scendendo più lentamente di quanto anticipato”, si legge ancora nei verbali.