Mercati: il Whatever It Takes anti-inflazione delle banche centrali fa paura anche oggi
Il sell off sull’azionario globale non si arresta. Il colpo hawkish delle banche centrali, non solo della Fed di Jerome Powell, ma anche della Bce di Christine Lagarde, ha affossato gli indici azionari Usa e in generale globali già nella giornata di ieri. Oggi i sell fanno il bis.
A Wall Street i futures accelerano al ribasso, mentre a Piazza Affari l’indice Ftse Mib segna un calo dello 0,43%. Alle 13 circa ora italiana, i futures sul Dow Jones capitolano di 377 punti (-1,11%); i futures sullo S&P 500 arretrano dell’1,15% e quelli sul Nasdaq scendono dello 0,73%.
Il WhateverItTakes contro l’inflazione confermato negli ultimi giorni dalla Fed, dalla Bce e dalla Bank of England (ma anche da parte di altre banche centrali), riporta sui mercati il timore di una recessione globale.
Ieri ha pesato anche il dato deludente relativo alle vendite al dettaglio degli Stati Uniti.
Il risultato è che il Dow Jones è crollato di 764,13 punti, -2,25%, riportando la peggiore performance in un giorno dal mese di settembre.
Lo S&P 500 e il Nasdaq Composite sono scesi rispettivamente del 2,49% e del 3,23%.
Sempre ieri la Bce ha annunciato l’atteso aumento di 50 punti base dei tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, dei tassi sulle operazioni di rifinanziamento marginale e dei tassi sui depositi presso la banca centrale, portandoli rispettivamente al 2,50%, al 2,75% e al 2,00%, con effetto dal 21 dicembre 2022.
La mossa era ampiamente attesa. I fattori che hanno innescato le vendite sono stati l’annuncio del QT-Quantitative Tightening, che avrà inizio nel marzo del 2023, e la determinazione della Bce a continuare ad alzare i tassi “in modo significativo”, a fronte di una inflazione dell’area euro che rimane per Christine Lagarde ancora “troppo alta”.
Poche ore prima, la Fed di Jerome Powell aveva annunciato anch’essa una stretta di 50 punti base, al nuovo range tra il 4,25% e il 4,5%, record degli ultimi 15 anni: anche questo era stato prezzato dai mercati. Ciò che i mercati non avevano messo in conto era il fatto che il dot-plot avrebbe indicato l’intenzione della banca centrale Usa di non tagliare i tassi almeno fino al 2024.
Non solo: sempre dal dot plot della Fed è emerso che le stime sul tasso terminale Usa sono state riviste al rialzo al 5,1%.
Dal canto suo, anche la Bank of England BOE ha alzato i tassi UK di 50 punti base nella giornata di ieri, portandoli a salire al 3,5%. La stretta monetaria è stata inferiore a quella di 75 punti base varata a novembre.
L’entità delle strette monetarie delle banche centrali, diminuita dai precedenti maxi rialzi di 75 punti base fino a 50 punti base, non è stata sufficiente a smorzare le ansie degli investitori.
Il motivo è anche piuttosto ovvio: l’attenzione si è spostata sull’intenzione delle istituzioni di continuare ad alzare i tassi di interesse magari a un ritmo inferiore, ma per un arco temporale più lungo, e con l’obiettivo di raggiungere un tasso terminale più alto di quanto preventivato. Anche a costo di una recessione.
Alla carrellata di annunci da parte delle banche centrali si è affiancata tra l’altro ieri la pubblicazione, negli Stati Uniti, delle vendite al dettaglio di novembre, scese dello 0,6%, il doppio rispetto alla flessione dello 0,3% stimata dal consensus degli analisti intervistati da Dow Jones. Su base annua, le vendite al dettaglio sono aumentate del 6,5%, a fronte di un tasso di inflazione che, come emerso qualche giorno fa, è pari su base annua al 7,1%.
Intanto, i tassi dei Treasuries Usa tornano a puntare verso l’alto: quelli decennali salgono al 3,495% mentre quelli a due anni sono in rialzo al 4,258%.