Inflazione Cina fredda azionario Asia. Hong Kong in preda a proteste è la peggiore (-1,80%)
I numeri sull’inflazione cinese gelano i mercati asiatici. Nel mese di maggio, l’indice dei prezzi al consumo cinese è salito a maggio del 2,7% su base annua, in linea con le attese e in accelerazione rispetto al precedente +2,5%. Si tratta del tasso più alto dal febbraio del 2018, ovvero del record in 15 mesi. Su base mensile, il dato è rimasto invariato.
L’indice dei prezzi alla produzione cinesi – altro dato che monitora l’inflazione – è aumentato invece su base annua dello 0,6%, meno del +0,9% di aprile, in linea con le stime. Su base mensile, la variazione è stata di un aumento dello 0,2%.
La Borsa di Hong Kong ha scontato la protesta di migliaia di persone, che hanno circordato il Parlamento nel giorno in cui sarebbe dovuta approdare in aula la legge sulle estradizioni in Cina. Il parlamento di Hong Kong ha rinviato però, proprio a causa dei disordini sociali, l’inizio dell’ esame della legge.
L’indice Hang Seng sta perdendo l’1,8%; l’indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo ha chiuso in calo dello 0,35% a 21.129,72 punti; Shanghai -0,36%, Sidney piatta con -0,01%, Seoul -0,30%.
Sotto i riflettori anche i nuovi attacchi di Donald Trump contro la Cina, nel pieno dell’escalation della guerra commerciale contro il paese. “La Cina vuole concludere un accordo commerciale in modo molto negativo, ma noi non faremo nessun accordo, a meno che non si tratti di un grande accordo”, ha detto il presidente americano.
Trump ha aggiunto di aspettarsi di incontrare il presidente cinese Xi Jinping in occasione del meeting del G20 a Osaka, in Giappone, in calendario alla fine del mese.
Il presidente Usa ha sferrato un attacco anche contro la Federal Reserve e le presunte svalutazioni competitive adottate da altre economie a livello mondiale. In un tweet, ha scritto di fatto che “l’euro e altre valute sono svalutate rispetto al dollaro, mettendo gli Stati Uniti in una situazione di grande svantaggio. I tassi di interesse della Fed sono troppo alti, in più c’è quel ridicolo Quantitative Tightening! Non ne hanno proprio idea!”
Dal fronte macroeconomico del Giappone, diffusa la componente core degli ordini dei macchinari del Giappone – che indica il trend delle spese in conto capitale delle aziende giapponesi nei sei-nove mesi successivi – , salita su base mensile del 5,2%, al tasso più alto dall’ottobre del 2018.
Si tratta del terzo aumento consecutivo del dato, su base mensile, che straccia decisamente le attese del consensus (di un calo dello 0,8%), e che si rivela superiore al trend di marzo (+3,8%).
Su base annua, il dato è salito del 2,5%, rispetto al -5,3% stimato e al precedente -0,7%.
Il Giappone continua tuttavia a fare i conti con un’inflazione quasi non pervenuta.
Nel mese di maggio, l’indice dei prezzi alla produzione del Giappone è salito dello 0,7% su base annua, come da attese, rallentando tuttavia il passo rispetto al precedente +1,3%, rivisto al rialzo rispetto al +1,2% reso noto inizialmente.
Su base mensile la variazione è stata pari a -0,1%, rispetto al dato invariato atteso dal consensus e contro il +0,4% di aprile, rivisto al rialzo dal +0,3% precedentemente comunicato.
La componente dei prezzi dei beni finali è salita di appena lo 0,2% su base annua, rispetto al target della Bank of Japan, pari al +2% su base annua: l’ennesima dimostrazione di come la politica monetaria dell’istituto non riesca ancora a centrare gli obiettivi di inflazione fissati per il Giappone (come d’altronde non riescono a fare la Bce e la Federal Reserve).
Tanto che, di recente, la divisione di ricerca di JP Morgan ha comunicato di prevedere che, nel mese di settembre, la Bank of Japan (BoJ) taglierà ulteriormente i tassi di breve termine, già negativi, dal -0,1% attuale al -0,3%.