Cina, reopening da Covid desiderato e temuto. Goldman Sachs: manca preparazione medica, si rischia il caos
Cina nella morsa dei lockdown da Covid: la seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti uscirà mai dalla quarantena imposta dalla politica di tolleranza zero nei confronti del virus lanciata dal governo di Pechino, la cosiddetta Zero Covid Policy?
Quanto bisognerà attendere ancora prima che la parola “reopening” diventi realtà, nel paese? Secondo Hui Shan, capo economista della divisione Cina del colosso Usa Goldman Sachs, esiste una probabilità del 60% che la Cina riapra nell’aprile del 2023, a seguito del Congresso del partito comunista.
Al contempo, Shan ha avvertito che “esiste anche una probabilità del 30% di un reopening che venga anticipato”, ma in modo “forzato”, in una Cina che non dispone di un piano alternativo ai lockdown nella gestione della pandemia.
L’economista spiega che un’uscita forzata dalla politica Zero Covid della Cina potrebbe vedere le autorità governative e locali ridurre i controlli anti-Covid prima che il paese sia davvero pronto a gestire un aumento inevitabile delle infezioni.
Il boom delle infezioni e l’assenza di una “preparazione medica” adatta a gestire i casi potrebbero a quel punto avere effetti sul comparto manifatturiero e sul commercio del paese, provocando gravi problemi anche all’intero sistema sanitario”.
A quel punto, molti cinesi stessi potrebbero decidere di rimanere confinati nelle loro case, ma la riapertura avrebbe al contempo provocato già un numero elevato di ricoveri e di decessi.
Un tale scenario secondo Goldman Sachs potrebbe tradursi in “un rischio al ribasso” ulteriore sulla ripresa dell’economia.
Goldman Sachs aveva già previsto per il Pil della Cina una crescita di appena il 3% su base annua, per il 2022, decisamente inferiore al target del governo di Pechino, pari a una espansione dell’economia del 5,5%.
I mercati oggi scontano le notizie delle proteste esplose in Cina proprio contro la Zero Covid Policy che Pechino continua a portare avanti.
Diverse le manifestazioni di cittadini cinesi esasperati dalle misure di lockdown e dalle restrizioni rafforzate negli ultimi giorni per arginare la nuova ondata di Covid.
In particolare, negli ultimi tre giorni, riporta un articolo della Cnbc, diversi studenti hanno organizzato manifestazioni presso diverse università; in generale, la gente si è riversata nelle strade di Pechino, Shanghai, Wuhan, Lanzhou, e di altre città, in base ai video che sono circolati sui social media.
Le manifestazioni sono partite inizialmente da Urumqi, nello Xinjiang, lo scorso venerdì, a seguito di un incendio che alla vigilia ha provocato 10 vittime in un’area sottoposta a lockdown da mesi.
Secondo le proteste, proprio i controlli lanciati dalle autorità locali per garantire l’isolamento dei residenti avrebbe ritardato l’arrivo dei vigili di fuoco, provocando la morte di dieci persone.
La rabbia dei cinesi si spiega anche con il fatto che le restrizioni della Zero Covid Policy stanno continuando a zavorrare la crescita dell’economia del paese, che ora fa fronte a un tasso di disoccupazione giovanile che si aggira al 20% circa.
Alcuni video mostrano manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente cinese Xi Jinping e dello stesso partito comunista.
Ma il punto, fa notare l’economista di Goldman Sachs, è “che ci sono lacune in campo medico, proprio laddove il virus si è evoluto a un livello tale da aver fatto diventare l’attuazione della politica zero Covid molto costosa”.
Nella situazione attuale, a suo avviso, le autorità dovranno valutare in modo oculato i costi e i benefici di una politica Zero Covid che sta mettendo sempre più a dura prova la pazienza degli abitanti. Ma il cui allentamento, in caso di assenza di competenze mediche, rischierebbe di provocare un vero e proprio caos.