Bio-on: Think Investments dimezza gli short sul titolo
Giornata altalenante per Bio-on a Piazza Affari. Il titolo è stato sospeso intorno alle 16 con un ribasso dello 0,24% a 21,10 euro, in forte recupero rispetto al minimo intraday a 15,98 euro. Lo scorso 25 luglio il titolo della società quotata all’Aim aveva toccato un minimo a 15 euro.
Ma, nel frattempo, come si sono mossi i fondi che detengono una posizione short sul titolo? Dall’aggiornamento odierno delle posizioni nette corte (pnc) pubblicate da Consob si apprende che su Bio-on sono aperte 4 posizioni ribassiste per una quota pari al 3,88% del capitale della società. Solo due giorni fa (29 luglio) le posizioni allo scoperto erano sempre 4, ma pari al 4,48% del capitale. Cosa quindi è cambiato? In pratica, si vede nel documento di Consob, che Think Investments ha sostanzialmente dimezzato la propria quota ribassista dall’1,19% allo 0,59% del capitale di Bio-on. Gli altri fondi sono rimasti invariati: Cadian Capital Management detiene l’1%, Engadine Partners l’1,69% e Ennismore Fund Management lo 0,6%.
Consob definisce le pnc un indicatore sintetico che riassume le posizioni corte (ossia le vendite allo scoperto sulle azioni e le posizioni corte in strumenti finanziari derivati e altri strumenti simili) al netto delle posizioni lunghe (ossia gli acquisti di azioni e le posizioni lunghe in strumenti finanziari derivati e altri strumenti simili). Inoltre, Consob pubblica solo le pnc che sono di entità pari o superiore allo 0,5% del capitale sociale della società quotata considerata.
Sulla vicenda si è espresso Gian Franco Traverso Guicciardi, Head of Research di Banca Finnat, specialist di Bio-on che ha portato la società a Piazza Affari nel 2014. “Sulla società ci crediamo, perché tutto sta nel credere o non credere nel business model dell’azienda – rimarca l’esponente di Banca Finnat, intervistato da FinanzaOnline -. La capacità produttiva è irrisoria, ma il core business non è produrre a differenza di Novamont. Il business model di Bio-on è creare una serie di joint venture ognuna delle quali specializzata in un determinato campo di applicazione. Il business model sta nello sviluppare applicazioni specifiche ad alto valore aggiunto come per la cosmesi, inserite in un contesto che oggi è di differente diversa sensibilità rispetto a 70 anni fa quando già c’era il PHAs. Noi crediamo quindi sulle potenzialità del business, c’è chi può dubitarne ed è legittimo”.