Wall Street supera paura inflazione, ma trend settimanale è negativo. Nasdaq -4,6%
Wall Street positiva nonostante la delusione per la frenata del dato relativo alle vendite al dettaglio. Il Dow Jones sale di più di 200 punti, per poi rallentare il passo dopo qualche minuto e salire di 150 punti circa (+0,46%), a 34.177 punti circa; lo S&P avanza dello 0,75% a 4.143 punti, mentre il Nasdaq balza di oltre l’1% a 13.267 punti. Da segnalare che, nell’arco di questa settimana, il Dow Jones ha segnato un ribasso del 2,18% questa settimana, mentre lo S&P 500 ha perso il 2,84%. Il Nasdaq è scivolato del 4,56% nonostante il recupero significativo dell’ultima sessione. In evidenza oggi sul Dow Jones il titolo Disney, che cede il 4,5% dopo aver riportato un bilancio che ha messo in evidenza un fatturato e un numero di abbonati al servizio streaming inferiori alle attese. Sono i titoli hi-tech che anche oggi hanno la meglio: bene Tesla, Twitter e anche i FAANG, ovvero Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Alphabet. I tassi dei Treasuries decennali sono in calo attorno all’1,628% circa.
Prima dell’inizio della sessione sono state rese note le vendite al dettaglio degli Stati Uniti che, nel mese di aprile, sono rimaste invariate, facendo peggio del rialzo dello 0,8%/1% atteso dagli economisti, in forte frenata rispetto al boom del 10,7% di marzo (rivisto al rialzo rispetto al precedente +9,7% inizialmente riportato). Escluse le vendite di auto, le vendite al dettaglio sono scese dello 0,8%, facendo decisamente peggio del +0,7% stimato dal consensus. Escluse le vendite di auto e di benzina, il trend è stato di un ribasso dello 0,8%, rispetto al +0,3% previsto. Il forte rallentamento su base mensile si spiega con il fatto che l’effetto del bazooka anti-Covid-19 dell’amministrazione di Joe Biden sui portafogli dei consumatori americani si è dispiegato soprattutto nel mese di marzo.
Ma occhio al trend su base annua (nell’aprile del 2020 diversi stati Usa avevano lanciato restrizioni varie e misure di lockdown anti-Covid): le vendite al dettaglio sono schizzate in questo caso di ben +51,2%, rispetto al precedente +14,3%.
Reso noto anche l’indice dei prezzi alle importazioni degli Stati Uniti, che, sempre ad aprile, è salito dello 0,7% su base mensile, oltre la crescita dello 0,6% attesa, ma in rallentamento rispetto al +1,4% di marzo, rivisto al rialzo dal +1,2% precedentemente riportato.
I prezzi alle esportazioni sono saliti dello 0,8%, in linea con le attese, in rallentamento rispetto al +2,4% di marzo (dato rivisto al rialzo dal +2,1% inizialmente reso noto). Anche qui occhio alla performance su base annua: i prezzi alle importazioni sono balzati del 10,6%, più del +10,2% atteso dal consensus e in rafforzamento rispetto al +7% di marzo. I prezzi alle esportazioni sono volati del 14,4%, rispetto al 14% stimato e il +9,5% del mese scorso.
Da segnalare, a proposito di prezzi e di inflazione, che dati ancora più cruciali sono stati resi noti nel corso della settimana: mercoledì è stato il turno della pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo Usa, che ad aprile è schizzato del 4,2% su base annua, ben oltre il +3,6% atteso dagli analisti, rispetto al +2,6% di marzo e al ritmo più alto dal 2008. Escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e alimentari, il dato core è salito del 3%, oltre il +2,3% atteso e rispetto al +1,6% precedente.
Su base mensile, il dato è balzato dello 0,8%, rispetto al +0,2% atteso e al +0,6% di marzo, riportando il rialzo mensile più forte dal 2009. Il dato core, sempre su base mensile, è salito dello 0,9%, ben oltre il +0,3% atteso, al ritmo più forte dall’aprile del 1982.
L’indice dei prezzi al consumo ha riacceso il timore che la Fed di Jerome Powell abbia sottovalutato il problema dell’inflazione, e che per questo sarà costretta ad avviare il tapering del QE e ad alzare i tassi prima del previsto. Mercoledì Wall Street è così capitolata, scontando il dato.
Ieri, è stato pubblicato un altro termometro dell’inflazione: l’indice dei prezzi alla produzione, sempre di aprile, che è balzato su base mensile dello 0,6%, il doppio rispetto al +0,3% atteso dal consensus. Su base annua, l’indice è balzato del 6,2%, al ritmo più alto degli ultimi 11 anni, ovvero dal 2010, ben oltre il +4,2% stimato dal consensus. La componente core del dato, sempre su base annua, è cresciuta inoltre del 4,6%, al record dal 2014.
Nella giornata di ieri, tuttavia, il panico inflazione è rientrato e gli investitori sono tornati a posizionarsi soprattutto sui titoli tecnologici, particolarmente tartassati dall’inizio del mese di maggio.
Alla base dei rialzi, ci sarebbe stato il fenomeno Buy the Dip
Dal fronte macro, oggi è stato pubblicato anche il dato relativo alla produzione industriale, salito ad aprile su base mensile dello 0,7%, rispetto al +1% atteso, e in rallentamento rispetto al precedente aumento del 2,4%, rivisto al rialzo dal precedente +1,4% riportato.
Il tasso di utilizzazione della capacità produttiva si è attestato al 74,9%, pressoché in linea con il 75% stimato, mentre la produzione manifatturiera è aumentata dello 0,4%, rispetto al +0,3% stimato.
Così Mark Haefele, chief investment officer di UBS Global Wealth Management, in una nota riportata dalla Cnbc, ha commentato il trend dei mercati:
“Probabilmente l’inflazione più alta rimarrà sotto i riflettori, di pari passo con l’accelerazione della ripresa post pandemia. Tuttavia, sebbene ci aspettiamo esplosioni di volatilità sulla scia dei timori sull’inflazione, mentre continuiamo a posizionarci puntanto sulla reflazione, intravediamo in queste oscillazioni di mercato anche una opportunità per costruire una esposizione verso i vincitori strutturali”.
Da segnalare che ieri il Centers for Disease Control and Prevention ha allentato le linee guida per la pandemia del coronavirus, affermando che la maggior parte delle persone che sono state vaccinate, ricevendo le dosi necessarie, non avranno bisogno di indossare le mascherine sia al chiuso che all’aperto.