Wall Street paga tensioni Usa-Cina e crollo Intel (-18%). Oro verso $1.900, euro a $1,16
Wall Street si allinea all’azionario globale, puntando verso il basso, a causa dell’acuirsi delle tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti.
Pechino ha reagito all’ordine Usa di chiudere il consolato cinese di Houston, in Texas, diramato qualche giorno fa, con la minaccia di espellere centinaia o anche più di diplomatici americani che lavorano per la Cia in Cina e a Hong Kong. Non solo.
Stando ai media locali, la Cina ha ordinato agli Stati Uniti la chiusura del consolato americano di Chengdu, come si vociferava da qualche ora.
Il risk off porta gli investitori a posizionarsi sull’oro, che si avvicina a quota $1.900. I contratti futures con scadenza ad agosto, scambiati sul Comex, sono saliti fino a $1.891,90 l’oncia, in linea con il valore di chiusura record di sempre testato nell’agosto del 2011, secondo i dati di Dow Jones Market Data.
Il record intraday assoluto rimane quello testato dall’oro il 6 settembre del 2013, a $1.923,70 l’oncia.
Su base settimanale, l’oro è balzato del 4,5%, a fronte del balzo dell’argento pari a +15%.
L’avversione al rischio è confermata dal trend al ribasso degli indici azionari Usa: il Dow Jones perde 140 punti (-0,58%), a 26.507, il Nasdaq arretra di oltre 220 punti (-1,99%), a 10.254 punti, mentre lo S&P 500 fa -0,82%, a 3.208 punti.
Tra i titoli si mette in evidenza il forte calo di Intel che ieri, dopo la fine della sessione, ha comunicato di aver riportato nel secondo trimestre un bilancio migliore delle attese, annunciando tuttavia che lancerà i chip di prossima generazione più tardi delle attese.
Nelle contrattazioni dell’afterhours di Wall Street, il titolo del gigante Usa ha così perso fin oltre -10%, dopo aver chiuso la sessione in calo dell’1,1% a $60,40. Le quotazioni soffrono un vero e proprio crollo nella sessione di oggi, scivolando di quasi -18% a $49,89.
I chip di prossima generazione di Intel sono i semiconduttori a 7 nanometri, che AMD già produce.
In una conference call con gli analisti, il ceo di Intel Bob Swan ha spiegato che la società ha identificato un difetto che ha reso più incerti i tempi di consegna del prodotto, il cui lancio potrebbe a questo punto avvenire alla fine del 2022 o all’inizio del 2023.
Riguardo ai risultati di bilancio, Intel ha reso noto di aver terminato il secondo trimestre con un utile netto di $5,1 miliardi, o $1,19 per azione, in crescita rispetto ai $4,18 miliardi, o 92 centesimi per azione, dello stesso periodo dell’anno scorso.
Escludendo le poste straordinarie di bilancio, Intel ha riportato un utile per azione di $1,23, rispetto agli $1,06 per azione del secondo trimestre del 2019 e al di sopra degli $1,11 per azione attesi dal consensus.
Il fatturato è salito del 20% a $19,7 miliardi dai $16,51 miliardi del secondo trimestre del 2019 e meglio anche dei $17,92 miliardi del consensus.
Per il terzo trimestre, Intel prevede utili adjusted a $1,10 per azione, meno degli $1,11 per azione attesi dal consensus, a fronte di un fatturato di $18,2 miliardi, meglio dei $17,92 miliardi stimati.
Per l’anno intero stima utili adjusted per $4,85 per azione, meglio dei $4,71 per azione attesi dagli analisti, a fronte di un fatturato di $75 miliardi, rispetto ai $73,92 miliardi previsti dal consensus. Il tonfo di Intel sta incidendo sul Dow Jones sottraendo dall’indice 69 punti circa.
Sul fronte valutario, l’euro-dollaro è piatto attorno a $1,16 circa. Pesante il dollaro sullo yen.
Il rapporto USD/JPY perde più dello 0,80%, a JPY 105,97, a conferma della corsa ai beni rifugio da parte degli investitori.