Wall Street oggi chiusa: S&P ripartirà da settimo record consecutivo. Focus petrolio con Opec+, Brent oltre $76
Oggi Wall Street rimane chiusa, all’indomani della Festa dell’Indipendenza.
Lo S&P 500 ripartirà domani da un nuovo valore record, riportato venerdì scorso a seguito della pubblicazione del report occupazionale Usa di giugno. L’indice benchmark è salito dello 0,75% a 4.352,34 punti. Record anche per il Nasdaq Composite, avanzato dello 0,81% alla chiusura record di 14.639,33. Il Dow Jones Industrial Average è aumentato di 152,82 punti a 34.786,35. Lo S&P 500, in particolare, è salito al record per la settima sessione consecutiva, la fase rialzista più lunga da agosto 2020.
A sostenere Wall Street nella sessione di venerdì sono stati in particolar modo i titoli hi-tech, con Apple e Salesforce che sono saliti quasi il 2% e l’1,3%, rispettivamente. Microsoft ha fatto +2,2%.
Nella settimana, il Nasdaq Composite è avanzato di circa il 2%, lo S&P 500 è salito dell’1%, il Dow Jones è cresciuto dell’1,7%.
Diversi i settori che hanno chiuso a livelli record nella sessione di venerdì, come il tecnologico e l’health care.
Alle 12.40 circa ora italiana, i futures sul Dow Jones sono piatti con una variazione pari a -0,02% a 34.668 punti; i futures sul Nasdaq cedono lo 0,10% a 14.699, i futures sullo S&P 500 arretrano dello 0,08% a 4.339 punti.
Dal report occupazionale Usa diffuso venerdì scorso, è emerso che, nel mese di giugno, l’economia degli Stati Uniti ha creato 850.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre le attese. Gli economisti di Dow Jones avevano previsto una crescita dei nuovi posti di lavoro di 706.000 unità, dopo il rialzo delle buste paga di 559.000 di maggio.
Il tasso di disoccupazione è salito a giugno al 5,9%, facendo peggio delle attese degli analisti, che avevano previsto una flessione dal 5,8% di maggio al 5,6%.
Il numero dei disoccupati è aumentato dai 9,316 milioni a 9,484 milioni di persone.
Nuove informazioni sul trend dell’inflazione Usa – che è il fattore che più spaventa gli investitori, in quanto il rafforzamento dei prezzi, soprattutto se duraturo e non temporaneo come stimato dal numero uno della Fed Jerome Powell, rischierebbe davvero di anticipare una stretta monetaria – sono arrivate con la pubblicazione dei salari.
Su base annua, il rialzo è stato importante, pari a +3,6% su base annua, molto oltre il +2% del mese precedente, anche se a un ritmo lievemente inferiore al +3,7% atteso.
Su base mensile, i salari hanno rallentato invece il passo, scendendo dal +0,5% al +0,3% in media, in linea con le stime.
Dal dato, emerge praticamente che non c’è necessità, al momento, che la Federal Reserve agisca da pompiere tentando di sfiammare le pressioni inflazionistiche. Non per niente i tassi sui Treasuries decennali sono ancora sotto pressione all’1,431%.
Focus oggi sui prezzi del petrolio, osservati speciali a causa dello stallo che ha colpito l’Opec +: ben due le fumate nere, la prima nella riunione di giovedì scorso 1° luglio, la seconda venerdì 2 luglio.
Punto e a capo, ci si riprova oggi.
Tutto parte da una proposta presentata la scorsa settimana dall’Arabia Saudita e dalla leader dei paesi non Opec, ovvero la Russia: la proposta è di estendere la durata dei tagli (decisi nell’anno del Covid-19, e in via di allentamento), fino al 2022.
I due produttori top avevano già siglato un accordo preliminare che, in linea di principio, prevedeva l’aumento dell’offerta di 400.000 barili al giorno da agosto a dicembre del 2021, al fine di centrare la domanda che, con la fase di reopening post (quasi) fine del lockdown, è in continuo aumento. E fin qui tutto ok per Abu Dhabi.
A far storcere il naso agli Emirati Arabi Uniti è stata un’altra cosa; il fatto che i tagli decisi nel 2020 – anno della pandemia Covid -19 – vengano prorogati alla fine del 2022 senza che ci sia una revisione delle soglie di produzione da cui partire:
Abu Dhabi chiede la revisione al rialzo della propria quota, per produrre di più rispetto a quanto le è consentito di fare ora, in base alla soglia attuale. La soglia attuale è quella, d’altronde, che è stata decisa per il paese nell’ottobre del 2018, quando Abu Dhabi produceva 3,2 milioni di barili al giorno circa. Il punto è che, lo scorso anno, quel numero è aumentato a 3,8 milioni di barili al giorno.
Secondo gli Emirati Arabi Uniti, la soglia di partenza non dovrebbe essere insomma quella di quattro anni fa.
Ora i prezzi del petrolio WTI salgono dello 0,24% a $75,34 al barile, mentre il Brent fa +0,22% a $76,35.