Wall Street in rialzo, Dow Jones +400 punti, ma tassi Treasuries prezzano persistenza paura Omicron. Domani il market mover clou
Wall Street in rialzo dopo la chiusura negativa di ieri, scatenata dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC), che ha confermato il primo caso di Omicron negli Stati Uniti. Alla vigilia il Dow Jones Industrial Average ha perso 461,68 punti a 34.022,04 punti, mentre lo S&P 500 ha ceduto l’1,18% a 4.513,04. Il Nasdaq Composite è arretrato dell’1,83% a quota 15.254,05.
Oggi il Dow Jones rimbalza balzando fino a +400 punti; lo S&P 500 sale dello 0,75% mentre il Nasdaq sottoperforma gli indici con un rialzo di appena lo 0,13%.
Tornano a salire i titoli che erano finiti nel mirino nella seduta della vigilia, zavorrati dalla prospettiva di nuovi lockdown e restrizioni sui viaggi, dunque i titoli delle compagnie aree, del settore alberghiero e dei gruppi che gestiscono crociere: in rialzo Boeing, Norwegian Cruise, Royal Caribbean e MGM Resorts International.
In una nota ai clienti, gli analisti di TD Securities fanno notare che “gli investitori stanno diventando più cauti non solo per la variante Omicron ma anche per la prospettiva di un tapering più veloce”. Prospettiva che è stata rinfocolata dalle stesse dichiarazioni proferite nel corso della sua audizione al Congresso Usa dal numero uno della Fed, Jerome Powell.
Occhio all’indice della paura VIX – CBOE Volatility Index -, che ieri è volato a 31,12 punti, rispetto ai livelli inferiori ai 27 punti dell’inizio della settimana. L’indice fa dietrofront scendendo di oltre il 6%, e riportandosi così sotto la soglia dei 30 punti. I tassi sui Treasuries a 10 anni sono sotto pressione all’1,427%, a conferma della persistenza sui mercati dei timori per la variante Omicron.
E’ stato pubblicato oggi il report Usa settimanale relativo alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione da cui è emerso che, nella settimana terminata il 27 novembre scorso, il numero dei lavoratori americani che hanno fatto richiesta per la prima volta per ricevere i sussidi è salito di 28.000 unità a 220.000 unità, meglio delle 240.000 unità attese dagli analisti intervistati dall’agenzia di stampa Dow Jones. Il dato della settimana precedente è stato rivisto al ribasso dalle 199.000 unità inizialmente comunicate a quota 194.000, minimo record dal 1969. A conferma delle buone condizioni di salute del mercato del lavoro degli States, la media mobile delle quattro settimane si è attestata a 238.750, al minimo dalla settimana che si è conclusa il 14 marzo del 2020. Nel complesso, il numero dei lavoratori Usa che continuano a beneficiare complessivamente dei sussidi di disoccupazione è pari a 1.956.000, meglio dei 2 milioni stimati, e al minimo dal 14 marzo del 2020. Sempre dal mercato del lavoro Usa, è stato diramato ieri il report occupazionale stilato dalla società ADP: dal rapporto è emerso che, nel mese di novembre, il settore privato degli Stati Uniti ha creato 534.000 nuovi posti di lavoro, meglio della crescita stimata dagli analisti, pari a +506.000 unità.
Grande attesa per la diffusione del report occupazionale Usa di novembre, che sarà pubblicato domani, venerdì 3 dicembre:
le attese degli analisti intervistati da Dow Jones sono di un aumento di 573.000 nuovi posti di lavoro, dopo i +531.000 di ottobre. Il tasso di disoccupazione Usa è atteso in calo al 4,5%.
Pubblicato nella serata di ieri il Beige Book, il rapporto sulle condizioni economiche degli Stati Uniti che la Fed pubblica otto volte l’anno. Dal rapporto è emerso che
“l’attività economica è cresciuta a un ritmo tra il modesto e il moderato nella maggior parte dei distretti della Federal Reserve, a ottobre e all’inizio di novembre”.
“Diversi distretti hanno fatto notare che, nonostante la solidità della domanda, la crescita è stata limitata dalle interruzioni nella catena dell’offerta e dalla scarsità della forza lavoro – si legge ancora nel rapporto – Le spese per consumi sono aumentate in modo modesto; il basso livello delle scorte ha frento le vendite di alcuni prodotti, in particolare di veicoli leggeri”.
Riguardo alla questione cruciale dell’inflazione, “ci sono stati diversi aumenti dei costi input, a causa della forte domanda per le materie prime, le sfide logistiche e la scarsità nel mercato del lavoro”.
“La maggiore disponibilità di alcuni input, in particolare di semiconduttori e di alcuni prodotti in acciaio, ha contribuito a smorzare alcune pressioni sui prezzi”.
Il Beige Book ha confermato dunque il problema dell’inflazione negli Stati Uniti, indicando tuttavia anche un allentamento delle pressioni in alcuni casi.
Detto questo, “la solida domanda in generale ha consentito alle aziende di alzare i prezzi senza grandi resistenze, sebbene gli obblighi contrattuali abbiano impedito ad alcune imprese di aumentare i prezzi”.