Paura nucleare affossa Wall Street nonostante report occupazione Usa migliore attese: Dow Jones -450 punti
Wall Street accelera al ribasso, nonostante la pubblicazione del report occupazionale Usa di febbraio, che si è confermato migliore delle attese. Il report ha ridotto le perdite soltanto per qualche minuto nelle contrattazioni del premercato. Alle 16 circa ora italiana, il Dow Jones scivola fino a -450 punti (-1,33%), a 33.344 punti; lo S&P 500 arretra dell’1,29% a 4.307, mentre il Nasdaq retrocede dell’1,33% a 13.357 punti circa.
Nel mese di febbraio l’economia degli Stati Uniti ha creato 678.000 nuovi posti di lavoro, meglio delle stime degli analisti. Gli economisti intervistati da Dow Jones avevano previsto una crescita di 440.000 nuovi posti di lavoro. Rivisti al rialzo i dati di gennaio, quando le buste paga sono cresciute di 481.000 unità, meglio del rialzo di 467.000 unità pubblicato in precedenza.
Revisione al rialzo anche per l’occupazione di dicembre, quando sono stati creati 588.000 nuovi posti di lavoro, più del rialzo di 510.000 inizialmente comunicati.
Il tasso di disoccupazione è sceso dal precedente 4% al 3,8%, meglio del 3,9% atteso dal consensus.
Questo è stato l’ultimo report occupazionale diffuso prima del prossimo meeting del Fomc, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve, dei prossimi 15-16 marzo.
Il presidente della Fed Jerome Powell, nelle sue audizioni al Congresso Usa di questa settimana, è stato chiaro nell’affermare che i tassi sui fed funds saranno alzati nel prossimo meeting, dicendosi favorevole a una prima stretta monetaria di 25 punti base.
Nel commentare il report occupazionale Usa di febbraio Seema Shah, chief strategist di Principal Global Investors, ha sottolineato che, “con i numeri odierni che costituiscono un’altra prova del fatto che l’economia americana è sufficientemente robusta per far fronte a un ciclo rapido di strette monetarie, l’incertezza del conflitto (in Ucraina) non riduce l’urgenza immediata della Fed di alzare i tassi”.
Una buona notizia, quella arrivata dal fronte macroeconomico, che non riesce tuttavia ad avere la meglio sulla minaccia nucleare, che oggi è risuonata in tutto il mondo dopo la notizia del bombardamento della più grande centrale nucleare dell’Europa, situata in Ucraina, da parte delle forze russe di Vladimir Putin.
Le forze russe hanno preso tra l’altro il controllo della centrale, come annunciato dall’Ispettorato statale nucleare dell’Ucraina, che ha scritto su Facebook che “l’impianto nucleare di Zaporizhzhya è stato preso dalle forze militari della Federazione russa”.
A essere attaccato è stato l’impianto di Zaporizhazhia, costruito tra il 1984 e il 1995, il più grande in Europa e il nono nel mondo: ha sei reattori, ognuno dei quali genera 950MW, per una produzione totale di 5.700MW, energia sufficiente per quattro milioni di abitazioni. Nessun reattore nucleare sarebbe stato colpito, così come il livello delle radiazioni nel sito non sarebbe elevato. Ma il fatto che la centrale nucleare più grande dell’Europa sia nelle mani della Russia di Vladimir Putin di certo non può far rimanere i tranquilli né i mercati, né il mondo intero.
Il focus rimane sui prezzi delle commodities, che continuano a schizzare verso l’alto, scontando l’escalation delle tensioni geopolitiche.
Fattori come la chiusura dei porti ucraini, il combattimento tra forze ucraine e russe in diverse città importanti dell’Ucraina e l’ampliamento delle sanzioni contro la Russia hanno portato i buyer di petrolio e di gas, ma anche di grano e di metalli, a cercare alternative. Il problema è che, insieme, Russia e Ucraina incidono per poco meno del 30% sulle forniture globali di grano, e la Russia è anche un grande esportatore di gas, alluminio, nichel e altri metalli.
I futures sul grano più attivi sul Chicago Board of Trade sono balzati così questa settimana del 40%, riportando il guadagno settimanale più sostenuto della storia, i prezzi del mais sono volati del 16% e quelli della soia sono saliti del 5%.
Focus anche sui prezzi del petrolio, che accelerano al rialzo con un rally superiore a +5%, che riporta il Brent oltre quota $115 e il WTI al di sopra di $113.
L’avversione al rischio porta gli investitori a rifugiarsi oggi nei titoli di stato americani, con il risultato che i rendimenti decennali incrementano le perdite, scendendo di 10 punti base, attorno all’1,731%%.
Così Maneesh Deshpande, responsabile della divisione di derivati sull’azionario globale e di strategia sull’azionario Usa di Barclays, ha commentato in una nota:
“Nel complesso la nostra opinione è che, a fronte di un impatto diretto limitato che la guerra tra la Russia e l’Ucraina avrà sull’azionario Usa, l’impatto indiretto che arriverà attraverso i canali delle commodities (con il loro rally) e del sentiment non è un fattore di poco conto”.
“Il sentiment nei confronti del rischio rimane fragile e oscilla a seconda nelle notizie che arrivano dalla Russia e dall’Ucraina, così come a seconda delle notizie sulle decisioni delle banche centrali, che sembrano impegnate ad alzare i tassi, e che stanno anche individuando rischi al rialzo per l’inflazione”, ha commentato dal canto suo Tapas Strickland, economista National Australia Bank, in una nota riportata dalla Cnbc.