Consob, Savona su Bitcoin cita Rasmussen: ‘ridicolo dimostrare che ricchezza consiste in moneta, o oro e argento, e non in ciò che acquista’
Nell’annuale incontro con il mercato finanziario, in occasione della presentazione della Relazione della Consob per il 2020, Paolo Savona, presidente della Consob, ha affrontato in modo ampio tra le altre la questione sempre più attuale delle criptovalute.
“La creazione via computer di moneta fiduciaria privata
offre a chi la effettua (i c.d. ‘minatori’) la possibilità di disporre di un potere di acquisto – ha ricordato Savona – Richard Rasmussen, un economista le cui analisi abbracciano un vasto spettro di istanze biologiche e sociali, ha scritto che ‘sarebbe estremamente ridicolo applicarsi per davvero a dimostrare che la ricchezza consiste nella moneta,
o nell’oro e nell’argento, e non in ciò che la moneta acquista”.
“La funzione redistributrice – ha continuato Savona – propria della democrazia, e quella produttiva-commutativa, propria del mercato, risultano alterate dalla creazione di potere di acquisto digitalizzato, ancor più se collocato in una contabilità perfettamente decentrata. Nonostante la loro importanza negli equilibri sociali, le implicazioni etiche delle innovazioni finanziarie sul funzionamento della
democrazia hanno finora ricevuto minore considerazione di altri aspetti del problema, quali il digital divide, la privacy e il diritto alla libera iniziativa privata”.
“Al momento della nascita, il potere di acquisto degli
strumenti virtuali è inesistente, non avendo dietro un rapporto economico di debito e credito, come ogni altra operazione che si realizza sul mercato, ivi inclusa la creazione di moneta legale che vede debitrice un istituto pubblico di emissione – ha continuato il numero uno della Consob – Il rapporto di debito e credito si concreta solo al verificarsi dell’aspettativa che qualcuno accetti spontaneamente lo strumento virtuale creato e possa rivenderlo ad altri al momento opportuno. Solo le
operazioni di scambio effettuate dopo aver ‘minato’ le
criptovalute generano un rapporto da iscrivere in una contabilità a partita doppia, come insegnataci mezzo millennio orsono dal Frate Luca Pacioli; ma la reale responsabilità del debitore ‘secondario’ resta pur sempre incerta, avendo alla radice l’assenza di un debitore ‘primario'”.
Riguardo al Bitcoin, puntualizza l’economista, “più che dallo strumento in sé stesso, il problema nasce dalla tecnologia usata, la blockchain o catena di contabilità decentrata. La sua forma originaria, quella usata dai Bitcoin nel 2009, è un circuito le cui informazioni restano confinate esclusivamente tra possessori dello strumento criptato, identificati da
un codice numerico; le transazioni vengono certificate dal
meccanismo stesso, senza l’intervento di un’entità esterna (come le banche per i depositi o gli intermediari finanziari per i titoli di credito). Per quanto è dato conoscere sullo stato delle tecniche di hackeraggio, la blockchain originaria è impenetrabile, mentre quella usata da altre cryptocurrency non lo è, come testimoniano fatti già accaduti per importi anche significativi; queste altre forme hanno raggiunto soluzioni sofisticate per proteggersi dagli attacchi esterni, tuttavia sono pur sempre penetrabili ma, nel convincimento di chi li usa, il rischio trova compensazione nei vantaggi che provengono per raggiungere altri fini, come realizzare i così detti smart contract. Rimane pur sempre il fatto che essi restano nel confine dell’incertezza di essere dentro o
fuori il perimetro della legalità, soprattutto se includono l’uso delle cryptocurrency. Per cogliere l’ampiezza delle possibilità messe a punto dai tecnici delle contabilità decentrate si usa l’acronimo DLT (Distributed Ledger Technology), dei cui reali contenuti sono coscienti solo gli esperti (i professional), ma non la clientela ordinaria (il retail) che, se vi accede, risulta di fatto meno protetta.
L’uso di questi strumenti nelle forme chiuse all’esterno
dei partecipanti all’iniziativa (permissionless) preclude una
vigilanza privata (come quella svolta dai collegi sindacali e dalle società di certificazione) o pubblica (da parte delle autorità di vigilanza). Senza presidi adeguati (norme ed enti), ne consegue un peggioramento della trasparenza del mercato, fondamento della legalità e delle scelte razionali degli operatori. Tra gli effetti negativi ben conosciuti vi è la schermatura che queste tecniche consentono ad attività criminali, come l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo e il sequestro di persone. La concentrazione nel possesso di Bitcoin che è stata recentemente accertata può riflettere questo aspetto
del problema”.