Wall Street gelata da paura tassi: trend febbraio e YTD
Wall Street, S&P 500, Nasdaq, DJ: il trend a febbraio e YTD. La view degli analisti
Wall Street chiude il mese di febbraio in rosso, confermando lo sboom del rally di inizio anno, che tanto aveva fatto sperare nella ripresa dell’azionario Usa dopo le forti perdite sofferte nel 2022.
Il rally si è sfiammato a causa della paura, ormai radicata nei mercati, di nuovi rialzi dei tassi più aggressivi da parte della Fed. Una paura che è stata fomentata dalla pubblicazione di diversi dati relativi all’inflazione Usa.
Nel mese di febbraio, a pesare in primis è stata comunque la diffusione del report occupazionale di gennaio, che ha scioccato i mercati per la crescita dei nuovi posti di lavoro.
Altro che rallentamento dell’occupazione Usa dopo la carrellata di strette monetarie da parte della Fed. Nel mese di gennaio l’economia degli States ha creato ben 517.000 nuovi posti di lavoro.
Il dato ha sorpreso la stessa Fed, tanto che il presidente Jerome Powell lo ha detto chiaramente: “I tassi potrebbero salire più di quanto anticipato, e il processo disinflazionistico è solo all’inizio“.
Nel mese di febbraio gli altri dati macro diffusi hanno poi confermato quanto si temeva:
la crescita dell’inflazione, negli Stati Uniti, è più solida di quanto stimato dagli economisti: chiara la lettura in tal senso dell’indice dei prezzi al consumo CPI e dell’indice dei prezzi alla produzione PPI, entrambi di gennaio.
Per i mercati la vera stangata è arrivata alla fine della scorsa con la pubblicazione del parametro preferito dalla Fed per monitorare il trend dell’inflazione: l’indice PCE core, che è avanzato oltre le attese, frantumando la convinzione, ormai piuttosto radicata nei mercati, secondo cui l’inflazione degli Stati Uniti avrebbe toccato il picco.
Qualche giorno prima erano state diffuse le minute relative all’ultima riunione del Fomc del 31 gennaio-1° febbraio, che si è conclusa con l’annuncio di un rialzo dei tassi di interesse Usa di 25 punti base, da parte della Fed, al range compreso tra il 4,5% e il 4,75%, record dall’ottobre del 2007.
Proprio queste minute avevano riacceso ulteriormente sui mercati la paura di nuovi ulteriori rialzi dei tassi più aggressivi :
dal documento è emerso infatti come, alcuni esponenti della Fed fossero stati a favore, nel corso dell’ultimo meeting della banca centrale Usa, a un aumento dei tassi di 50 punti base, in un contesto ancora di rischi al rialzo sull’inflazione.
Di fronte all’evidenza di un’inflazione ancora persistente, a fronte di una crescita dell’occupazione più che solida, gli investitori hanno continuato coswì a optare per i sell, zavorrando ulteriormente Wall Street.
Il risultato è che la borsa Usa ha chiuso febbraio scendendo per la seconda volta in tre mesi.
E’ stato il Dow Jones a riportare il trend peggiore, segnando nel mese un ribasso del 4,19%, mentre gli indici azionari S&P 500 e Nasdaq Composite hanno perso rispettivamente il 2,61% e l’1,11%.
La paura di ulteriori impennate dell’inflazione e il conseguente rischio di una Fed ancora più hawkish si sono rispecchiati anche sul mercato del reddito fisso:
qui, come mette in evidenza un articolo della CNBC, i tassi dei Treasuries a 10 anni sono volati nel solo mese di febbraio di più di 50 punti base, mentre i rendimenti dei Treasuries a 2 anni (più sensibili alle decisioni di politica monetaria) sono balzati di oltre 70 punti base.
Nella giornata di ieri, i tassi dei Treasuries a 10 anni sono schizzati fino al 3,983%, al record dal 10 novembre scorso, quando i rendimenti erano saliti fino al 4,117%, pericolosamente vicini a quella soglia del 4% che, secondo gli esperti, potrebbe accendere la volatilità sui mercati.
Wall Street: trend febbraio, da inizio 2023 e da pandemia
Wall Street ha terminato ieri l’ultima sessione di febbraio in ribasso:
Il Dow Jones Industrial Average è sceso di 232,39 punti (-0,7%), a 32.656,70 punti; lo S&P 500 ha segnato un calo dello 0,3% a 3.970,15, e il Nasdaq Composite ha chiuso in ribasso dello 0,1% a 11.455,54 punti.
A dispetto del rally riportato nelle prime sessioni del 2023, tutti e tre i principali indici azionari di Wall Street hanno chiuso in rosso il secondo degli ultimi tre mesi.
In particolare, il Dow Jones è sceso a febbraio del 4,19%, portando il calo YTD a -1,48%.
Il Dow Jones viaggia inoltre a un valore inferiore dell’11% rispetto al record di sempre, ma in crescita dell’80,57% rispetto ai minimi testati durante l’inizio della pandemia Covid-19.
Lo S&P 500 and Nasdaq Composite hanno ceduto rispettivamente il 2,61% e l’1,11% nel mese di febbraio, rimanendo comunque in rialzo dall’inizio dell’anno.
Riguardo alla performance YTD, lo S&P 500 è in rialzo del 3,7% circa nel 2023, in calo del 17,36% rispetto al record di sempre, e in recupero dell’81,68% dai minimi testati nel periodo più buio della pandemia Covid.
Il Nasdaq Composite è in crescita del 9,6% circa dall’inizio dell’anno, lontano del 29,27% rispetto al record di sempre e in ripresa del 72,92% rispetto ai minimi testati durante la pandemia.
Ma cosa dicono gli economisti?
Wall Street: il commento di Mirabaud AM
Così Gero Jung, responsabile economista di Mirabaud AM:
“Sembra che il processo di disinflazione avverrà più lentamente di quanto previsto – il che suggerisce che la Fed continuerà a tenere i tassi più alti più a lungo. Gli ultimi verbali del FOMC non hanno fornito ulteriori indicazioni circa le azioni future della Fed. Continuiamo ad aspettarci altri due rialzi di 25 pb durante le riunioni di marzo e maggio, seguiti da una pausa. Ma permane il rischio che la Fed si irrigidisca ancora di più”, ha scritto in una nota Jung.
L’economista ha menzionato proprio “il dato sull’inflazione dell’indice dei prezzi per la spesa per i consumi personali (PCE), che si è confermato più forte sia nella lettura principale che in quella di fondo, un segnale che le pressioni inflazionistiche rimangono elevate”.
Con un rialzo del 4,7% su base annua, il dato ha messo in evidenza un’inflazione “decisamente troppo alta per l’obiettivo di inflazione della Fed”.
Tra l’altro, “questo dato arriva dopo altri dati forti, tra cui quelli relativi ai beni durevoli e alle abitazioni”.
Dunque?
“Per il momento il nostro scenario Fed rimane invariato, ma attendiamo le prossime comunicazioni, nonché il prossimo rapporto sull’occupazione (10 marzo) e i dati sull’indice nazionale dei prezzi a consumo (14 marzo)”, ha sottolineato Gero Jung
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Smart Bank fa il paragone tra azionario Usa ed Europa
Ha commentato il trend di Wall Street facendo un paragone con l’azionario europeo, Antonio De negri, ceo di Smart Bank, nella nota: “Europa VS Stati Uniti, allineamento o disallineamento?
Così De Negri:
“I dati arrivati dagli Stati Uniti all’inizio del 2023 hanno dato segnali più positivi rispetto alle aspettative di fine 2022. In Nord America si nota un sostanziale aumento della spesa personale del cliente statunitense ma anche un aumento del rischio di rialzo dei tassi per il primo trimestre”.
Tutto questo ha portato Smart Bank a ritenere che “il mercato del lavoro sia forte”.
“Di conseguenza abbiamo rivisto al rialzo le nostre aspettative per il Pil Usa di fine anno. Allo stesso tempo, però, i dati provenienti dal mercato immobiliare sono fragili in risposta all’innalzamento dei tassi, che ci aspettiamo continuino ad aumentare nell’anno. Al netto di questi dati generalmente robusti, crediamo che l’economia americana sarà in grado di evitare una recessione nel 2023 anche se la nostra aspettativa di crescita a oggi non supera lo 0,5% anno su anno”.
Mentre, ha continuato l’AD di Smart bank, “per quanto riguarda l’inflazione (core PCE) stimiamo u un aumento di 57 bps” e “da un punto di vista dei tassi ipotizziamo un aumento di 25bps al mese per marzo, maggio e giugno” da parte della Fed di Jerome Powell.
Riguardo all’Europa, è stato ricordato come “tendenzialmente l’economia europea è solita imitare quella statunitense, e questo vale innanzitutto per i tassi“.
Dunque “crediamo che la Bce seguirà un aumento mensile di 25bps stimando un picco del 3.5/3.75% a giugno“.
De Negri ha precisato tuttavia che, “per quanto riguarda questa politica monetaria, è difficile fare stime accurate in quanto c’è un generale disaccordo tra i maggiori esponenti del settore: mentre alcuni si aspettano un restringimento, altri la vedono diversamente”.
“Per quanto riguarda l’inflazione (dell’Eurozona), ci aspettiamo una situazione stagnante anche in Europa, anche se l’headline inflation (tasso che include il cambiamento di quei prezzi che cambiano significativamente, come per esempio il costo della vita) è in generale diminuzione – ha messo ancora in evidenza il numero uno di Smart Bank, aggiungendo che “i dati riguardanti il mercato del lavoro sono robusti anche in Europa, con bassi tassi di disoccupazione e crescita degli stipendi, soprattutto nelle nazioni europee emergenti”.
Il problema dell’area euro, nello specifico?
“I rischi riguardanti l’Eurozona sono più legati al mercato immobiliare, apparentemente in peggior condizione di quello US a causa di un sistema bancario più lento, e dalla possibilità che i tassi continuino a salire anche dopo giugno”.
Antonio De Negri è passato così a fare un paragone tra Wall Street e le borse europee:
“Nella nostra opinione, lo scampato pericolo di recessione è già stato considerato nel prezzo dei mercati nordamericani che non riteniamo molto competitivi: con multipli a 18 volte gli utili sono dispendiosi, e per questi abbiamo aspettative di crescita pari a zero a causa di un bilanciamento tra guadagni stabili e un restringimento dei margini”.
L’Europa è invece “in una posizione migliore, soprattutto grazie a una crescita dei ricavi in settori ‘profondi’ che sono stati trascurati dopo la crisi finanziaria del 2008 (bancario ed energetico principalmente). Inoltre, i mercati europei sono meno inondati di compagnie con valutazioni a multipli esorbitanti (tech) rispetto all’America”.
“A parità di settore stimiamo che i mercati europei siano più economici del 30% rispetto agli US. Questo è coerente con i risultati che abbiamo visto dall’ottobre scorso, con i mercati europei che hanno sovraperformato di 2 volte l’S&P500. Di conseguenza, mentre ci aspettiamo ritorni piatti da oltreoceano, stimiamo un rendimento positivo circa del 5%”.