Usa: Wall Street in rosso e balzo rendimenti Treasury dopo il job report, crescono pressioni sulla Fed
Il report americano sul mercato del lavoro di gennaio ha fornito una sorpresa piuttosto sgradita ai mercati e, probabilmente, alla Federal Reserve. Il numero di nuovi impieghi ha quasi triplicato le aspettative di mercato, risultando nettamente superiore anche al dato di dicembre e alimentando nuovamente le ipotesi di una Fed più restrittiva.
In seguito alla diffusione del job report, Wall Street ha aperto in rosso, con il Nasdaq a -1% e lo S&P500 a -0,8%. Le vendite investono soprattutto i tecnologici, più sensibili alle aspettative sui tassi, mentre il mercato swap è tornato a prezzare un picco del ciclo restrittivo della Fed intorno al 5% verso metà del 2023.
I rendimenti dei Treasuries decennali balzano di 10bp al 3,49% e quelli sulla scadenza biennale si impennano di 12 bp al 4,22%. Sul Forex, euro/dollaro in calo a 1,087, con il biglietto verde in forte apprezzamento anche rispetto allo yen (130,2).
Boom dei non farm payrolls a 517mila, rallentano i salari su base annua
I dati del Dipartimento del lavoro statunitense sui non farm payrolls hanno evidenziato un aumento di 517 mila unità, rispetto alle 188 mila buste paga previste dagli analisti e alle 260 mila di dicembre (riviste al rialzo da 223 mila inizialmente comunicate). Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3,5% di dicembre al 3,4%, valore minimo dal maggio 1969, rispetto al rialzo al 3,6% previsto.
La crescita dei salari medi orari, attentamente monitorata come parametro dell’inflazione, mostra una crescita dello 0,3% mensile (come da attese) e un +4,4% annuo, rispetto al 4,3% stimato e al +4,8% di dicembre, rivisto al rialzo dal 4,6% iniziale.
Il tasso di partecipazione alla forza lavoro degli Stati Uniti è salito dal 62,3% di dicembre al 62,4%, anche se il report diffuso oggi include un aggiornamento annuale dei dati sulla popolazione, che rendono i numeri sulla partecipazione e sulla disoccupazione non direttamente confrontabili con il mese precedente. Eliminando gli effetti di tali aggiustamenti, secondo il Dipartimento del Lavoro, il tasso di partecipazione complessivo è rimasto invariato.
Le assunzioni sono state diffuse in tutti i settori, in particolare tempo libero e ospitalità, servizi professionali e alle imprese e assistenza sanitaria. L’occupazione nel governo è aumentata al massimo da luglio, riflettendo il ritorno dei lavoratori dell’Università della California, dopo la fine di uno sciopero.
Le ore settimanali lavorate sono state pari in media a 34,7, più delle 34,3 ore attese e contro le 34,3 ore di dicembre.
Il mercato del lavoro solido aumenta i rischi di inflazione
I dati odierni evidenziano la resilienza del mercato del lavoro, nonostante l’aumento dei tassi (e quindi dei costi di finanziamento), un calo della domanda da parte dei consumatori e un outlook economico ancora fortemente incerto. La domanda di lavoratori continua a superare l’offerta, minacciando continue pressioni rialziste sui salari e dunque sull’inflazione.
Questo aspetto è cruciale per la Federal Reserve, come sottolineato nella riunione di due giorni fa in cui la banca centrale ha alzato per l’ottava volta i tassi, di 25 punti base, rallentando il ritmo delle strette e portando il costo del denaro al nuovo range compreso tra il 4,5% e il 4,75% (record da ottobre 2007). In tale occasione, il presidente Jerome Powell ha espresso ottimismo sul fatto che i funzionari possano ancora realizzare un cosiddetto “soft landing”, contrastando efficacemente le pressioni senza lasciare milioni di persone senza lavoro.
Lo stesso Powell ha riconosciuto che “il processo disinflazionistico è iniziato” e ha aperto ad un tasso terminale anche inferiore al 5%, pur segnalando nuove strette monetarie. Tuttavia, perché questo si concretizzi è fondamentale un rallentamento degli aumenti salariali.
Analisti sorpresi dai dati, “necessari ulteriori sforzi della Fed”
Per ING, i dati di oggi rappresentano “una vera sorpresa, difficile da spiegare. Nonostante sette cali mensili consecutivi nella produzione di costruzioni residenziali, tre cali consecutivi nella produzione industriale e la spesa dei consumatori deludente a novembre e dicembre, le aziende sono ancora felici di assumere.”
Malgrado i tagli degli ultimi mesi, inoltre, i licenziamenti complessivi rimangono storicamente bassi e i dati di questa settimana sulle aperture di nuovi posti di lavoro hanno evidenziato una solida domanda.
“Forse la Fed continuerà ad alzare (i tassi) più a lungo, ma avremo bisogno di assistere ad un rimbalzo improvviso dell’economia perché notizie di questo genere sul mercato del lavoro continuino. Dobbiamo essere un po’ scettici, dato che la fiducia nei consigli di amministrazione americani e nel settore delle piccole imprese è inferiore ai livelli osservati nel momento peggiore della pandemia.
Questo, proseguono da ING, “suggerirebbe una mentalità più difensiva, maggiormente concentrata sulla riduzione dei costi piuttosto che sull’espansione del business. Non prevediamo un’altra cifra di oltre 500.000 il mese prossimo…”, concludono gli esperti.
Sorpresi anche gli analisti di IG, secondo cui i dati “smentiscono la narrativa delle banche centrali e soprattutto le aspettative dei mercati. Il mondo del lavoro statunitense si conferma forte, molto forte, nonostante le mosse restrittive della Federal Reserve. La crescita dei salari si mostra consistente e porterà ulteriori pressioni inflazionistiche. Le banche centrali, e in particolare la Federal Reserve, dovrà fare ulteriori sforzi per riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Uno o due rialzi di 25 punti base potrebbero non bastare”, conclude IG.