Usa, Ue e banche centrali: la view di Algebris
Dagli Stati Uniti all’eurozona fino alle banche centrali, la settimana appena iniziata sarà particolarmente calda e a fornire il suo spunto operativo il team strategie di credito globale di Algebris.
Partendo dagli Usa, domani ci sarà la pubblicazione del CPI statunitense di gennaio, che il consenso vede al 6,2% a/a rispetto al 6,5% del mese precedente, e al 5,4% per il dato core rispetto al 5,7% di dicembre.
Gli swap sull’inflazione sono conformi, ma vedono un rischio di rialzo per il dato a livello mensile, con un prezzo dello 0,6% rispetto allo 0,5% previsto.
“Ciononostante -continuano gli analisti – concordiamo sul fatto che i rischi sono al rialzo per la prossima pubblicazione, poiché i prezzi della benzina sono aumentati a gennaio, l’inflazione tende ad essere più alta all’inizio dell’anno e non è ancora chiaro quanto velocemente la componente degli affitti scenda nei dati ufficiali”.
“A seguito del rapporto occupazionale NFP (NonFarm Payroll) molto solido – si legge nella nota di Algebris – riteniamo che una notizia al rialzo sull’inflazione possa spingere a scommettere su un aumento del tasso terminale della Fed, che Powell ha menzionato essere possibile se l’inflazione non dovesse diminuire, e che possa alimentare la speculazione che la Fed riveda il suo obiettivo per il 2023 ancora più in alto nelle proiezioni del prossimo marzo, oltre il 5,125% come segnalato a dicembre. I mercati valutano un livello prossimo al 5,2% e hanno ridotto le previsioni sui tagli dei tassi nel 2023 da -60 pb a -32 pb dopo la pubblicazione dei NFP“.
Passando alla zona euro, “i dati economici europei sono stati generalmente molto buoni nelle ultime settimane, in quanto l’Eurozona ha superato i timori di una recessione negativa a causa della scarsità di energia. Il Citi Economic Surprise Index si attesta a 93, vicino ai massimi degli ultimi 20 anni se si esclude il post-Covid, segnalando così quanto i dati europei si siano rivelati positivi rispetto alle pessime aspettative degli ultimi tempi. Tuttavia, i dati stanno rallentando, come dimostra il -2,8% a/a delle vendite al dettaglio della scorsa settimana. Ciononostante, i relatori della BCE hanno continuato a mettere in guardia sui rischi di rialzo dell’inflazione”.
In particolare, Algebris cita “Isabel Schnabel, che vediamo in testa al Consiglio direttivo” e che “in un webinar tedesco tenutosi mercoledì scorso, ha sottolineato i continui aumenti delle componenti sottostanti, l’elevato slancio dell’inflazione e l’aumento della crescita dei salari nominali nell’Eurozona.
E, “sebbene la pubblicazione ritardata dell’HICP (Harmonised Index of Consumer Prices) tedesco si sia attestata al 9,2%, al di sotto del consenso del 10%, questo dato è stato comunque superiore alla stima iniziale di Eurostat di circa l’8,6-8,7% e significa che il CPI dell’Eurozona di gennaio, pari all’8,5%, potrebbe essere rivisto al rialzo dello 0,1-0,2%”.
Al momento “i prezzi di mercato indicano un tasso terminale della BCE al 3,5%, che corrisponde alle aspettative di 50/25/25 scatti nelle prossime tre riunioni. Siamo d’accordo con questa valutazione, aggiungono, ma riteniamo che ci siano rischi di rialzo, in quanto i nostri modelli mostrano che l’inflazione di base dell’Eurozona rimarrà stabile intorno al 5% fino a metà estate. In questo scenario, non crediamo che la BCE possa permettersi di rallentare e potrebbe segnalare ulteriori aumenti oltre questa data. Di conseguenza, rimaniamo prudenti sulla duration Europea”.
Infine uno sguardo alle altre banche centrali.
“La scorsa settimana la RBA, la Riksbank e Banxico hanno sorpreso i mercati con toni da falco, nonostante le più ampie previsioni di rallentamento della politica monetaria nelle principali economie di Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito”.
In particolare, “la Reserve Bank of Australia ha aumentato i tassi di interesse di 25 punti percentuali, portandoli al 3,35%, e ha fatto capire al mercato che saranno necessari ulteriori rialzi nei mesi successivi, dato che le pressioni sottostanti sui prezzi continuano ad accelerare”.
Dal canto suo “la Riksbank ha aumentato il tasso di 50 pb, portandolo al 3% e segnalando un tasso finale più alto, pari al 3,3%, nonostante l’ultima riunione di novembre avesse previsto un aumento di soli 25 pb”.
Viene messo in evidenza che “sia l’economia australiana che quella svedese sono particolarmente vulnerabili all’aumento dei tassi a causa del mercato immobiliare altamente orientato con mutui in gran parte fluttuanti o a breve termine, ma entrambe hanno deciso comunque che erano necessari rialzi più decisi per contenere l’inflazione”.
Ma “mentre i rialzi della RBA e della Riksbank erano stati anticipati dai mercati, la Banxico ha sorpreso con un aumento di 50 pb all’11%, contro le aspettative del mercato di soli 25 pb. I responsabili politici hanno notato che la ripresa economica ha perso slancio negli ultimi mesi, ma le aspettative di inflazione sono state riviste al rialzo, aprendo la porta a un potenziale rialzo di 25 pb il mese prossimo”.
Nel complesso, conclude la nota di Algebris, “notiamo una crescente divergenza tra le banche centrali, tra quelle che hanno iniziato prima e con più forza (ad esempio Fed, BoE, RBNZ), rispetto a quelle che hanno iniziato più tardi e che stanno combattendo contro un’inflazione più rigida (ad esempio RBA ma anche BCE)”.
E dunque, “riteniamo che gli investitori debbano essere agili nello scegliere con cura la loro esposizione ai tassi d’interesse tra le varie aree geografiche”.