Uber, WeWork, Lyft, Beyond Meat: le Ipo del 2019 tra successi e flop. E il trend dell’ETF relativo
Uber, la rivale Lyft, WeWork, Beyond Meat e tante altre ancora. Ci sono state Ipo che sono andate meglio, altre decisamente peggio, ma per i cosiddetti unicorni, ovvero per quelle società private valutate più di 1 miliardo di dollari, lo sbarco in Borsa in più di un caso non ha portato proprio fortuna, in questo 2019. Un articolo recente presenta a tal proposito i flop più clamorosi tra i debutti del 2019, raccogliendo le opinioni di un’esperta del settore: Kathleen Smith di Renaissance Capital, società di ricerca che si occupa di ETF sulle Ipo.
A livello globale, il mercato delle Ipo ha rallentato il passo, quest’anno: nel 2019, sono state 152 le società che hanno fatto il loro debutto in Borsa, raccogliendo 44 miliardi di dollari circa: numeri inferiori al 2018 quando, ha fatto notare Smith, le Ipo hanno interessato 192 società, che hanno raccolto quasi $47 miliardi.
Detto questo, il trend si è confermato positivo.
Basti pensare all’ETF sulle Ipo Renaissance IPO ETF, che ha guadagnato il 30% circa dall’inizio dell’anno fino ai primi dieci giorni di dicembre, rispetto al +25% dell’indice S&P 500 nello stesso arco temporale.
I flop non sono però mancati. Tra questi, viene segnalata l’Ipo di Lyft (ticker Lyft), sbarcata a Wall Street il 29 marzo del 2019 al prezzo di collocamento di $72 per azione. L’esordio è stato di tutto rispetto, con un rally dell’8,7% nel primo giorno di contrattazioni. Dal debutto allo scorso 10 dicembre, tuttavia, le quotazioni della società di trasporti privati rivale di Uber sono scivolate del 37%. In corrispondenza di un prezzo sceso sotto la soglia di 50 dollari, la capitalizzazione di mercato di Lyft – segnala Michael Hewson, di CMC Markets UK – è pari ora a $13,5 miliardi.
Anche Uber (ticker Uber) è tra le Ipo peggiori del 2019. Il gruppo ha fatto il suo debutto in Borsa il 10 maggio scorso, perdendo terreno il primo giorno di contrattazioni, con una perdita del 7,6% rispetto al prezzo di collocamento di 45 dollari per azione. Da allora fino al 10 dicembre il calo è del 38%. Hewson ricorda che, in corrispondenza del prezzo di collocamento, il business di Uber era stato valutato oltre $82 miliardi, ammontare tra l’altro inferiore a quello stimato dai più ottimisti, che in alcuni casi era stato di $100 miliardi. Guardando ai fondamentali, ha fatto notare l’esperto, qualcuno avrebbe dovuto capire che si trattava di un titolo da evitare.
“A maggio, la società aveva rivisto al rialzo le stime sul fatturato, previsto in miglioramento da $11,27 miliardi a $14,18 miliardi, nel corso di quest’anno. Ma anche le perdite erano state riviste al rialzo, fino a $5,4 miliardi entro la fine di quest’anno, prima di scendere a $4,1 miliardi nel 2020, secondo le previsioni di Bloomberg. La realtà si è dimostrata peggiore: Uber si avvia a perdere $8 miliardi, inclusi i $5,2 miliardi di perdite sofferte soltanto nel secondo trimestre, rispetto a una perdita complessiva, nel 2018, di $3 miliardi. Il gruppo ha tagliato anche la propria forza lavoro di 1.000 unità negli ultimi 12 mesi, mentre tenta di espandersi in India e in altri mercati emergenti. Al momento, la capitalizzazione di mercato è di $48 miliardi”. (altro che $100 miliardi).
Decisamente male anche SmileDirectClub (SDC), sbarcata sul Nasdaq il 12 settembre a 23 dollari per azione: il titolo ha sofferto un tonfo di ben -27% nel giorno del debutto, per cedere complessivamente il 65% fino allo scorso 10 dicembre.
Focus anche sull’ Ipo di Peleton (PTON), società che – sottolinea Hewson – “si definisce tecnologica, forse esagerando un po’, visto che vende biciclette per attività di fitness dotate di touch screen. Il prezzo di collocamento dell’azione è stato fissato a $29, valutando il business 8,1 miliardi di dollari. Il titolo ha fatto il suo debutto il 26 settembre, perdendo l’11% nella sua prima sessione, ma da quel giorno fino al 10 dicembre è in rialzo del 13% probabilmente sulla scia della fiducia degli investitori, che credono nella capacità del gruppo di centrare il target sul fatturato previsto per l’anno corrente fiscale a $1,5 miliardi, come fa notare lo strategist di CMC Markets.
Da incubo è stata invece l’Ipo di WeWork, che si può definire a ragione fantasma, visto che non c’è stata.
L’azienda che si occupa di spazi di co-working, capitanata dall’amministratore delegato Adam Neumann, costretto poi a dimettersi, è finita sotto i riflettori anche per i massicci licenziamenti e per la chiusura degli uffici.
Una società del genere non avrebbe avuto, d’altronde, i presupposti per lanciare un’Ipo. Smith ricorda il momento in cui WeWork presentò alla Sec il prospetto informativo in vista del collocamento.
“Appena lessero il prospetto, la reazione fu: state scherzando – ricorda Smith – Nessuno avrebbe mai potuto credere a ciò che vi era scritto”. Nell’arco di sei settimane, tutto crollò: da una valutazione presunta di $47 miliardi, WeWork diventò una società a rischio di bancarotta.
Pinterest è invece tra le storie di debutti più positivi di questanno anche se sempre Hewson fa notare come il titolo oscilli al di sotto del prezzo di collocamento, fissato a $19. Dopo aver perso lo scorso anno $63 milioni, il gruppo dovrebbe chiudere tra l’altro il bilancio in rosso di $414 milioni, sebbene la maggior parte delle perdite sia da imputare a costi straordinari legati all’operazione di Ipo. Detto questo, il fatturato del 2019 è atteso in crescita ad appena $1,1 miliardi.
E si arriva al trend stellare di Beyond Meat, che però ha perso decisamente smalto nelle ultime settimane. Il brand di hambruger per vegani ha debuttato al prezzo di collocamento di 25 dollari, per balzare poi fino a 239 dollari nei primi mesi di trading, per una valutazione del business di oltre $15 miliardi. Da allora, il titolo è sceso a $75. D’altronde la società non dovrebbe fare profitti fino alla fine del 2020.
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