Trump sarà contento: dopo Fed e Bce dovish chi perde è il dollaro. Euro a un soffio da $1,14
In una ipotetica battaglia tra Donald Trump e Mario Draghi, si potrebbe dire: 1 a zero per il presidente americano. L’euro continua infatti a rafforzarsi, nonostante la scorsa settimana il numero uno della Bce si sia presentato ai mercati in versione Whatever It Takes, promettendo di fare tutto – non solo taglio dei tassi ma anche ripristino ed espansione del Quantitative easing – per sostenere l’economia dell’Eurozona, la cui ripresa è più debole delle attese.
Nel giorno in cui Draghi ha parlato – dando il via al Forum delle banche centrali di Sintra. organizzato dalla Bce – l’euro è di fatto sceso, scontando la promessa di nuovi bazooka monetari più o meno potenti. E’ stato in quell’occasione che il presidente americano Trump, già indispettito per l’indisciplinata e ‘ribelle’ Federal Reserve, ha dato addosso anche a Mario Draghi, accusandolo di svalutare slealmente l’euro, a discapito del dollaro e, dunque, della competitività degli Stati Uniti (nel pieno della guerra commerciale globale).
E invece no: nei giorni seguenti l’euro si è apprezzato, anche e soprattutto per le dichiarazioni altrettanto dovish arrivate dal Fomc, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve. Già, perchè la scorsa settimana, oltre al discorso di Mario Draghi, c’è stato anche quello di Jerome Powell, seguito alla decisione sui tassi sui fed funds annunciata dalla Fed. I tassi sono rimasti invariati nella forchetta compresa tra il 2,25% e il 2,5%, ma un taglio a luglio viene dato, ormai, quasi per scontato.
Il risultato è che, dopo il rally già pari a +1,4% della scorsa settimana, l’euro continua a marciare verso l’alto, fino a posizionarsi a un soffio dalla soglia di $1,14, al record in tre mesi, ovvero dallo scorso 22 marzo, a $1,1381.
Alcuni analisti hanno spiegato la forza relativa dell’euro con il fatto che “Mario Draghi ha già lanciato una politica di tassi di interesse negativi e non dispone, in generale, di un ulteriore margine di manovra, anche se lo volesse, diversamente dalla Fed. Sono fattori come questi che sembra abbiano sostenuto l’euro”. Così ha commentato alla Cnbc Yukio Ishizuki, strategist senior del mercato valutario presso Daiwa Securities.
Insomma, secondo gli operatori, la Fed ha nel proprio arsenale molte più munizioni con cui aiutare l’economia americana, rispetto a quante ne possa avere la Bce di Mario Draghi.
Inoltre, il dollaro paga anche le tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Iran, e cede di conseguenza nei confronti dello yen, valuta rifugio per eccellenza, tra gli asset più richiesti in caso di avversione al rischio. Detto questo Koji Fukaya, direttore presso FPG Securities a Tokyo, ritiene che sarà difficile che il cambio USD-JPY scenda al di sotto di quota JPY 105, perchè è improbabile che le tensioni arrivino al punto da scatenare una fuga dagli asset denominati in dollari. Di conseguenza, bisognerà vedere fino a che punto il rialzo dell’euro si dimostrerà sostenibile.