Trauma inflazione Usa con scatto CPI +9,1%. Fed ha le mani legate: e l’euro-dollaro buca la parità
Niente da fare: l’inflazione Usa non solo non rientra ma si conferma ben superiore alle attese del consensus, fattore che conferma come la Fed di Jerome Powell non possa far altro che andare avanti nell’alzare i tassi in modo aggressivo. I mercati vanno in tilt, e sul forex accade quanto era ormai previsto:
l’euro scivola sotto la parità nei confronti del dollaro, capitolando fino a 0,9999, prima di tornare attorno a quota 1,0050: le aspettative di una banca centrale più hawkish fanno da assist al biglietto verde.
Aumenta quello spread che fa paura e che non è lo spread BTP-Bund, ma il differenziale già negativo da un bel po’ di sessioni, tra i tassi dei Treasuries a 10 anni e i tassi dei Treasuries a due anni. Lo spread conferma il fenomeno dell’inversione della curva dei rendimenti Usa e, secondo molti economisti, anticipa l’arrivo di una recessione Usa.
Ebbene, subito dopo la pubblicazione del dato CPI Usa, i tassi sui Treasuries a due anni volano fino a +12 punti base al 3,149%, mentre i tassi dei Treasuries a 10 anni scendono di 0,7 punti base al 2,951%.
Inflazione Usa boom al 9,1%: la Fed ha le mani legate
La Fed di Jerome Powell ha le mani legate: non può essere diversamente, visto che il dato appena snocciolato indica che, nel mese di giugno, l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo è schizzata al ritmo annuo del 9,1%, al nuovo record dal novembre del 1981, ovvero in oltre 40 anni, ben oltre il +8,6% previsto e il +8,3% precedente. L’inflazione core è aumentata su base annua del 5,9%, a un ritmo inferiore rispetto al +6% precedente, ma anche in questo caso più delle attese di un aumento pari a +5,7%.
L’indice CPI ha stracciato le attese anche su base mensile: l’inflazione headline ha segnato infatti una crescita dell’1,3%, superiore alle attese di un rialzo mensile pari a +1,1% e oltre l’aumento precedente di maggio, pari a +1%. La componente core, ovvero quella depurata dalle componenti più volatili rappresentata dai prezzi dei beni energetici e alimentari, è salita dello 0,7% su base mensile, più del +0,6% atteso e oltre anche il +0,6% precedente.
Una flebile speranza arriva dal trend su base annua dell’inflazione core – a cui la Fed guarda con maggiore interesse rispetto a quanto faccia con l’inflazione headline – che appunto ha rallentato il passo dal +6% precedente al 5,9%, ma anche in questo caso superando le attese di un rialzo limitato a +5,7%.
Il compito della Fed non è affatto semplice: Powell & Co rischiano di alzare i tassi in modo troppo aggressivo, provocando così un possibile hard landing (leggi recessione), che non per niente Wall Street ha iniziato già a scontare; dall’altro lato, se sbaglia i suoi calcoli e rallenta il ritmo e la portata delle strette monetarie, il rischio è di perdere la battaglia contro l’inflazione, considerata la tassa più crudele per i consumatori e le aziende, in quanto divora-utili e divora-consumi.
Inflazione Usa: prezzi energia +41% su base annua, benzina +60%
I mercati sono ben consapevoli del dilemma di Powell & Co in un contesto in cui il boom dei prezzi, negli Stati Uniti, continua a colpire diverse categorie: i prezzi dell’energia sono balzati su base mensile del 7,5%, rispetto al +3,9% precedente, volando del 41,6% su base annua; i prezzi della benzina sono balzati dell’11,2%, rispetto al +4,1% precedente; i prezzi dei nuovi veicoli sono saliti dello 0,7%, rispetto al +1% di maggio; i prezzi delle auto e veicoli usati sono aumentati dell’1,6%, rispetto al +1,8% precedente; i prezzi dei beni alimentari hanno fatto +1%, contro il +1,2% di maggio.
Sebbene i rialzi siano stati generalizzati, qualcuno potrebbe comunque obiettare che, in alcuni settori, il trend ha decelerato comunque il passo.
Ma basta guardare al trend della benzina, su base annua, di poco inferiore a +60% nel mese di giugno, e ai costi dell’elettricità, saliti dell’1,7% su base mensile e del 13,7% su base annua, per riconoscere come sia difficile sostenere che l’inflazione stia rallentando. Tutt’altro, in alcuni casi.
Countdown Fed: ora si scommette su rialzo tassi +100 punti base
E ora sul mercato dei futures sui fed funds si arriva a scommettere addirittura con una probabilità del 33% che la Fed di Jerome Powell alzi i tassi di 100 punti base tra due settimane, nella prossima riunione della banca centrale americana.
Il countdown inizia, e la paura sui mercati è palpabile, come emerge dalla reazione dei futures Usa che, a Wall Street, hanno puntato immediatamente verso il basso dopo la pubblicazione dell’indice CPI. Fino a oggi, le aspettative dei mercati sono state di una stretta monetaria della Fed di Jerome Powell di 75 punti base, nella prossima riunione del 27 luglio, così come nell’ultima riunione del 15 giugno scorso, quando i tassi Usa sono stati portati al nuovo range compreso tra l’1,50% e l’1,75%.
D’altronde, la pubblicazione, venerdì scorso, del report sull’occupazione Usa di giugno, ha messo in evidenza una crescita di 372.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione che è rimasto invariato al 3,6%. La crescita dell’occupazione è stata decisamente più forte di quanto atteso dagli analisti: sia gli economisti di Goldman Sachs che il consensus avevano previsto un aumento di nuovi posti di lavoro di 250.000 unità, inferiore all’aumento delle payrolls di 390.000 del mese di maggio.
Ora, il mix solidità del mercato del lavoro-ulteriore fiammata dell’inflazione assedia la Fed, dando ragione ai falchi.
Una eventuale nuova fiammata dell’inflazione che verrà probabilmente confermata nella giornata di oggi con il dato CPI, insieme alla solidità del mercato del lavoro, potrebbe avallare le attese di una nuova stretta monetaria, da parte della Fed di Jerome Powell, di 75 punti base.
Banche centrali sul piede di guerra contro inflazione
D’altronde, il processo di normalizzazione dei tassi verso l’alto continua in tutto il mondo.
Oggi la banca centrale della Corea del Sud ha annunciato di aver alzato i tassi principali di riferimento di 50 punti base, dall’1,75% al 2,25%. La stretta monetaria, in linea con le attese, è stata varata anche in questo caso per combattere l’aumento dell’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) che, nel mese di giugno, è salita in Corea del Sud del 6% su base annua, al ritmo più forte dal novembre del 1998, dai tempi dunque della crisi finanziaria che colpì l’Asia.
Ad alzare i tassi anche la RBNZ, Reserve Bank of New Zealand, banca centrale della Nuova Zelanda, che ha annunciato una stretta monetaria di 50 punti base, dal 2% al 2,5%, in linea con le attese degli analisti.
Riguardo all’euro, un commento sul suo trend e anche sul trend dell’inflazione dell’Eurozona è arrivato nelle ultime ore da Francois Villeroy de Galhau, presidente della Banca di Francia ed esponente del Consiglio direttivo della Bce.
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Villeroy ha confermato come il tonfo della moneta unica, pari a -12% da inizio anno, comunque sia entrato nel radar della banca centrale europea.
Una flessione della moneta unica rischia infatti di esacerbare il problema dell’inflazione, in un’area, quella dell’Eurozona, in cui il rischio di una recessione cresce in modo esponenziale, a causa della maggiore esposizione alla Russia e alle conseguenze della guerra in Ucraina dell’Europa rispetto agli Usa, in primis a causa della pesante crisi energetica che sta dilaniando il continente, con l’incubo razionamento che si fa sempre più realtà.