Titoli bancari italiani in mercato orso. UniCredit monitora fondi attivisti, teme richiesta break-up
Banche italiane osservate speciali, dopo le perdite delle ultime sessioni che hanno portato il sottoindice di riferimento a scivolare a un valore inferiore del 20% rispetto al massimo testato alla metà di aprile. Una situazione, questa, che ha certificato l’arrivo del mercato orso.
In un contesto di avversione al rischio che è stato alimentato, nelle ultime settimane, dall’impasse sulla Brexit e dal nuovo rischio di dimissioni della premier Theresa May, dall’alert vittoria populisti alle elezioni europee di domenica 26 maggio, dalla maggiore attenzione da parte degli analisti al problema del doom loop (abbraccio mortale tra banche e BTP che detengono in bilancio) e da qualche fiammata dello spread, gli investitori sono tornati ad accanirsi contro le banche italiane.
Il calo del titolo in Borsa avrebbe già messo sull’attenti UniCredit che, stando ad alcune indiscrezioni riportate dal Sole 24 Ore, ha deciso di alzare la guardia sui fondi attivisti. Il motivo è il timore che questi fondi, guardando proprio a come l’azione sia sottovalutata in Borsa, partano all’attacco chiedendo alcune misure simili a un break up della banca.
“Lo stesso consiglio di amministrazione che, stando a fonti finanziarie de Il Sole 24 Ore, in almeno due distinte riunioni del board avvenute nei mesi scorsi, tra fine anno e l’inizio del 2019, ha ascoltato le relazioni degli advisor JpMorgan e Goldman Sachs sui rischi di un potenziale intervento di fondi attivisti e sulle contromisure potenziali che UniCredit può prendere per anticipare eventuali richieste dei fondi stessi”. I
Il quotidiano di Confindustria parla dell’obiettivo del board che, “dalle indiscrezioni che trapelano, resta quello di mantenere integro il perimetro industriale paneuropeo del gruppo liquidando tutte le partecipazioni finanziarie che generano plusvalenze e rafforzano il capitale”. Il cda starebbe insomma giocando di anticipo, anticipando e neutralizzando “eventuali richieste di fondi attivisti”. Di conseguenza, spiega ancora Il Sole, in questa logica rientrerebbero alcuni annunci, relativi allo smobilizzo di asset ‘non core’: “dal patrimonio immobiliare in Italia, Austria e Germania fino alla vendita della quota in Fineco. Tutti asset su cui UniCredit ha registrato consistenti plusvalenze, destinate ‘idealmente’ ad aumentare la capitalizzazione del gruppo”. Viene messo in evidenza, in particolare, il caso di Fineco, che “sarebbe stato probabilmente il primo asset da vendere in caso di richieste di break up da parte di fondi attivisti”.
Per le banche italiane, una buona notizia arriva comunque dagli ultimi dati della Consob, relativi alle posizioni nette corte che i fondi stanno accumulando contro i titoli. A fare marcia indietro sulle scommesse ribassiste contro la finanza italiana, scrive Reuters, sono stati diversi fondi.
Tra questi, l’hedge fund numero uno al mondo Brigewater Associates fondato da Ray Dalio e BlackRock, il gestore di fondi più grande al mondo, che ha fatto parlare molto di sé per aver prima corteggiato, e poi bruscamente scaricato, la banca ligure Carige.
Di Dalio si era parlato molto, invece, prima delle elezioni politiche del 4 marzo del 2018. In particolare, all’inizio di febbraio del 2018, Dalio era arrivato a triplicare la sua scommessa ribassista contro l’Italia, fino a $3 miliardi, rispetto agli $1,1 miliardi delle posizioni short accumulate contro Piazza Affari nell’ottobre del 2018. Colpite soprattutto le banche, in particolare Intesa SanPaolo, ma in totale erano stati ben 18 i titoli del Ftse Mib entrati nel mirino di Bridgewater.
La situazione ora sarebbe nettamente cambiata, stando a un articolo di Reuters che analizza i dati della Consob: da questi emerge che, in data 21 maggio, non c’erano posizioni short su base netta superiori allo 0,5% nei casi di Intesa SanPaolo e UniCredit.
Giù dai massimi testati nel 2018 anche le scommesse short contro Banco BPM, terza banca italiana e titolo bancario più shortato da diversi fondi, mentre quelle su Ubi Banca e Bper mostrano segnali più contrastati, sebbene i dati della Consob confermino che anche in questi due casi alcuni fondi hanno allentato la loro pressione.
Detto questo, Reuters ha intervistato anche Andrea Filtri, co-responsabile della divisione di ricerca presso Mediobanca Securities a Londra che, pur facendo notare che “i titoli bancari hanno resistito piuttosto bene, nonostante il pesante cambiamento al ribasso della curva dei rendimenti e un altro rinvio delle aspettative di una normalizzazione dei tassi (da parte della Bce)”, il rischio politico italiano continuerà a confermarsi la loro spina nel fianco.
Ciò implica che “ragioni per rimanere short sull’Italia rimarranno, fino a quando questo governo rimarrà in cariva. La chiave è cosa accadrà all’esecutivo dopo le elezioni europee”.