Theresa May ancora umiliata a Westminster. E ora? Amundi presenta tre scenari
Giornata drammatica per il Regno Unito, all’indomani della decisione del Parlamento britannico di bocciare per l’ennesima volta la proposta sulla Brexit ripresentata dalla premier Theresa May. Proposta abbellita con presunte ‘garanzie vincolanti’ che Bruxelles avrebbe dato a May il giorno prima a Strasburgo, sulla durata non illimitata del backstop sul confine irlandese. Ma proposta che non ha convinto, comunque, la maggioranza dei parlamentari, soprattutto dopo l’opinione legale, resa nota alla Camera dei Comuni, del procuratore generale del Regno Unito Geoffrey Cox, secondo cui il rischio legale che il Regno Unito finisse con l’essere intrappolato nell’Unione doganale, a causa del backstop sul confine irlandese, era rimasto lo stesso, anche dopo l’incontro tra la premier e il numero uno della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.
La ‘nuova’ proposta di May non poi così nuova è stata affossata con un margine di 149 voti: 391 i voti contrari, rispetto ai 242 voti favorevoli. Così la premier britannica May dopo la seconda umiliazione subìta, a seguito della prima del 15 gennaio scorso:
“Continuo a credere che il miglior risultato per il Regno Unito sia lasciare l’Unione europea in modo ordinato, con un accordo, e che l’accordo frutto delle trattative (da me concluse con Bruxelles) sia il migliore e, di conseguenza, il migliore accordo a disposizione”.
E ora?
Oggi, la Camera dei Comuni è chiamata a deliberare sulla prospettiva di un no-deal Brexit, lo scenario peggiore che analisti ed economisti temono ma che i Brexiteers più convinti sostengono, visto che ora il timore è che quello per cui ha votato la maggioranza degli elettori britannici presentatisi alle urne quel 23 giugno del 2016 appaia sempre più alla stregua di un’utopia.
Nel caso in cui i parlamentari dovessero votare sì all’uscita del Regno Unito dall’Ue senza che sia stato raggiunto un accordo (ratificato dal Parlamento), il governo sarà costretto ad agire per concretizzare l’esito del voto: il 29 marzo, tra meno di tre settimane, la Brexit ci sarà. E sarà una no-deal Brexit.
Se invece i parlamentari bocceranno l’opzione di un no-deal Brexit, allora ci sarà un’altra votazione, prevista per domani, sull’estensione dell’Articolo 50.
Ma, affinché diventi effettiva, tale estensione dovrà essere votata da tutti gli altri 27 paesi membri dell’Unione europea. E Bruxelles, così sembra, vorrà prima sapere se Londra abbia intenzione di revocare l’articolo 50 e, anche, se opterà, alla fine, costretta dagli eventi, per un secondo referendum.
Se è vero che il Regno Unito ora rischia, a -16 giorni dalla data ufficiale della Brexit fissata al prossimo 29 marzo, lo scenario di una no-deal Brexit, è altrettanto vero che qualche spiraglio si apre per chi da mesi e anni auspica un secondo referendum.
Amundi presenta tre possibili scenari per il processo della Brexit:
1) Accordo ratificato entro il 29 marzo.
“Sollievo per il mercato: il Regno Unito lascia l’Unione Europea ed entra in un periodo di transizione, mantenendo l’accesso al mercato unico europeo almeno fino alla fine del 2020. Il Regno Unito necessiterebbe probabilmente di un’estensione tecnica. In tal caso, il parlamento europeo dovrebbe comunque ratificare l’accordo di uscita e il parlamento britannico dovrà a sua volta attuare la legislazione in un secondo momento.
2) Incertezza prolungata.
Sollievo parziale per il mercato, ma ancora incertezza fino alla nuova scadenza. L’articolo 50 viene prorogato fino alle elezioni europee o oltre questa data. Ciò metterebbe maggiore pressione sui sostenitori di una Hard Brexit. Una lunga estensione potrebbe riaprire le porte a un nuovo referendum o a nuove elezioni. Con un’estensione oltre la data delle elezioni europee, il Regno Unito si troverebbe a partecipare a tali elezioni a maggio (situazione molto delicata dal punto di vista legale e che entrambe le parti vogliono evitare, quindi c’è una minore probabilità di un’estensione di lungo termine). Nel caso di un’estensione di lungo termine: incertezza sul futuro del modello europeo (nel lungo periodo), ma più chiarezza nel breve termine.
3) Nessun accordo: Non prezzato dal mercato, negativo per le azioni dei paesi dell’Unione Europea e per la sterlina. Il Regno Unito esce dall’UE senza (o con un minimo) regime di transizione. Scenari secondari: un fallimento totale che conduca verso un regime governato dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) è un rischio, ma potrebbero essere definite delle misure di mitigazione (“situazione di mancato accordo controllato”, “accordi nonostante il mancato accordo”). Impatto negativo sulla crescita del PIL dell’UE con differenze tra i vari paesi (l’Irlanda sarebbe la più colpita, seguita dai paesi ben integrati nelle catene di approvvigionamento internazionali). Estrema incertezza riguardo alla questione dei confini irlandesi.