Settembre di forti scosse per i mercati. Rischio alta tensione: chi si salva su azionario, forex e reddito fisso?
Il periodo di calma che ha caratterizzato il trend dei mercati nelle ultime settimane è destinato a essere interrotto da una serie di scosse, che si presenteranno tutte a settembre. Basti pensare che saranno circa dieci le banche centrali dei paesi del G20 che comunicheranno le loro decisioni sulle prossime mosse di politica monetaria, inclusa la Bce, il cui Consiglio Direttivo si riunirà dopodomani, giovedì 7 settembre.
Una grande sorpresa potrebbe arrivare dalla Banca centrale del Canada, che ha alzato i tassi di interesse per la prima volta in quasi sette anni. La Bank of Canada si riunirà domani, 6 settembre, e secondo Avery Shenfeld, responsabile economista presso CIBC, un’altra sorpresa potrebbe essere in arrivo.
“La banca potrebbe lasciar intendere che, semplicemente, l’economia non ha bisogno di tassi bassi così come è stato finora, al fine di generare una crescita economica che possa considerarsi decente”.
Ragionamento che non farebbe una piega, visto che il Pil del secondo trimestre è balzato del 4,5%. E una dichiarazione che farebbe da assist alle quotazioni del dollaro canadese.
La Bank of England si trova a fronteggiare il problema opposto a quello della Bce, con l’indebolimento della sterlina che, nei confronti di un paniere di valute, è scivolata fino al minimo dall’ottobre del 2016. L’istituto ha tuttavia le mani legate, in quanto l’adozione di una politica monetaria meno accomodante o restrittiva, volta a rafforzare il valore della sterlina, potrebbe essere prematura, alla luce degli ultimi dati arrivati dal fronte macroeconomico del Regno Unito e a causa, anche – o soprattutto – della crescita negativa dei salari su base reale.
Settembre è il mese in cui si riuniranno anche le banche centrali di Giappone, Australia, Russia, Messico e Brasile. Con conseguenze inevitabili sulle rispettive valute e sui bond di questi paesi.
Per non parlare dell’effetto sul reddito fisso Usa e sul dollaro che avrà l’imminente deadline del 29 settembre, data fissata dal segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin, entro cui il Congresso dovrebbe aumentare il tetto sul debito degli Stati Uniti. Intervistato da Bloomberg Ward McCarthy, economista Usa presso Jefferies, ha avvertito.
“Preparatevi a un settembre accidentato”.
In realtà Mnuchin ha rassicurato che gli Usa in nessun caso si troveranno in una situazione di difficoltà nell’onorare i propri debiti. Ma i grafici mostrano chiaramente che i Treasuries che scadono tra gli inizi e la metà di ottobre hanno sottoperformato il comparto, a conferma dell’ansia sul tetto del debito Usa.
Inoltre, continua Bloomberg, il presidente americano Donald Trump “ha complicato la situazione minacciando lo shutdown del governo, in caso di rifiuto da parte del Congresso di approvare i finanziamenti per il Muro con il Messico”.
C’è poi anche la questione della Fed, che sta incontrando non pochi ostacoli nel suo processo di normalizzazione dei tassi, e che comunque potrebbe essere orientata a ridurre gli asset che zavorrano il suo bilancio già dal prossimo 20 settembre.
Per ora, i tassi sui Treasuries a 10 anni oscillano attorno ai minimi del 2017, e l’azionario Usa orbita attorno ai valori record testati quest’anno.
Ma secondo Torsken Slok, responsabile economista internazionale di Deutsche Bank, è meglio che gli investitori non diventino troppo compiacenti, in quanto la situazione potrebbe cambiare.
L’euro rimarrà grande osservato speciale, con Mario Draghi, numero uno della Bce, che molto probabilmente sarà costretto ad ammettere la sua forza, dopo il rally che lo ha portato al valore più alto in oltre due anni.
Stando ai dati di S&P Global, settembre è noto per essere un mese difficile per chi investe nell’azionario, con una perdita media dello 0,7% e in calo il 60% delle volte dalla Seconda Guerra Mondiale.
Quest’anno, in più, c’è una carrellata di eventi cruciali anche dal fronte politico, con le elezioni federali tedesche del prossimo 24 settembre, e le elezioni anche in Norvegia e Nuova Zelanda, in calendario rispettivamente l’11 e il 23 settembre: secondo le previsioni, queste ultime potrebbero consegnare il potere a governi formati dagli attuali partiti di opposizione.
In questi ultimi due casi, comunque, Bloomberg scrive che un qualsiasi effetto legato al voto dovrebbe rimanere contenuto e riguardare solo gli asset finanziari domestici.
Diverso il caso della Germania, dove il partito di Angela Merkel dovrebbe vincere ma sarà poi costretto a formare un governo di coalizione. E Oskar Niedermeyer, professore di politica presso la Free University di Berlino, avverte che tutti i potenziali alleati “hanno le loro trappole”, e alcune di queste potrebbero anche complicare il processo della Brexit.