Russia: G7 pronto all’embargo sull’oro di Putin. Nuova misura punitiva per distruggere macchina di guerra contro Ucraina
I paesi del G7 sono pronti a sferrare un altro attacco alla Russia di Vladimir Putin, tagliando un’altra fonte cruciale per le casse del Cremlino con un nuovo embargo: quello sull’oro russo.
La riunione dei sette grandi del pianeta ha preso infatti il via con un annuncio di un piano volto a colpire ulteriormente le casse di Stato made in Russia che, già con l’embargo sul petrolio inizialmente imposto dagli Stati Uniti e solo poco fa dall’Europa, continuano a perdere introiti.
A essere colpita è l’altra grande ricchezza che il paese produce: l’oro, il metallo giallo, il bene prezioso per eccellenza, che la Russia esporta in tutto il mondo, e anche in grandi quantità.
Il piano anti Putin firmato G7 ha come obiettivo il divieto di importazioni dell’oro proveniente dalla Russia.
In campo, soprattutto quattro paesi del G7, come confermato dal governo britannico con il seguente comunicato: “Il Regno Unito, gli Stati Uniti, il Giappone e il Canada guideranno il G7 nel mettere al bando le importazioni di oro russo, che rappresentano la fonte di entrate più grande (per Mosca) non energetica”.
Il premier britannico Boris Johnson ha precisato che “le misure che abbiamo annunciato oggi colpiranno direttamente gli oligarchi russi, colpendo il cuore della macchina da guerra di Putin”.
Lo scopo è quello di gettare sul lastrico il Cremlino, in modo che Vladimir Putin abbia sempre più difficoltà a finanziare l’acquisto di armi da usare contro l’Ucraina.
L’embargo sull’oro russo dovrebbe essere annunciato tra oggi e domani, mettendo nel mirino sia le esportazioni russe di oro appena estratto che quelle di oro raffinato: vanno avanti i lavori del G7, con la riunione che, iniziata ieri domenica 26 giugno, proseguirà fino alla giornata di domani, martedì 28 giugno.
Il 48° meeting del G7 ha preso il via in Germania, ad Elmau in Baviera: qui i leader si sono riuniti per confezionare un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, e per discutere di alcuni temi tanto attuali come cruciali, come il modo per assicurarsi nuove forniture di energia e la lotta all’inflazione, le cui fiammate sono state esacerbate proprio dal conflitto tra la Russia e l’Ucraina.
La notizia del piano contro l’oro di Putin è stata confermata da un tweet del presidente americano Joe Biden:
“Gli Stati Uniti hanno imposto costi senza precedenti contro Putin, al fine di negargli quelle entrate di cui ha bisogno per finanziare la sua guerra contro l’Ucraina. Insieme, il G7 annuncerà che metterà al bando le importazioni di oro russo, grande esportazione per la Russia, che vale decine di miliardi di dollari”.
Ma l’Europa?
Si sa, la Russia è un peso massimo nel settore delle commodities: per quanto concerne l’oro, il paese è il secondo paese esportatore, dopo la Cina, rappresentando il 10% della produzione mondiale.
Un articolo di Reuters riporta tra l’altro che Mosca ha triplicato le riserve di oro detenute dall’annessione della Crimea, avvenuta nel 2014. La commodity si conferma vitale per la banca centrale russa, che sta già operando in condizioni limitate.
Cruciale per l’embargo sull’oro è il ruolo di Londra, con il Regno Unito che fino a oggi è stato un grande importatore del metallo prezioso. La City ha tra l’altro grande voce in capitolo nello scambio di contratti internazionali del metallo giallo e questa misura, ha avvertito Londra, “avrà una portata globale, lasciando fuori la commodity dai mercati internazionali formali”.
In realtà, una misura contro il Russian gold era stata già presa a marzo dall’LBMA, ovvero dalla London Bullion Market Association, che aveva rimosso dalla sua lista le raffinerie russe di oro, tanto che le consegne di oro dalla Russia a Londra sono collassate fino a quasi zero dall’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio.
In più, un ordine esecutivo Usa, che è stato firmato da Biden il 15 aprile, proibisce esplicitamente a qualsiasi cittadino americano di partecipare o lanciare transazioni legate all’oro che coinvolgano la banca centrale della Russia, il ministero delle Finanze oppure il Fondo sovrano del paese.
C’è da dire che, fino a oggi, alle raffinerie è stato comunque consentito di continuare a importare direttamente oro dalla Russia: ma in un momento in cui il rischio reputazionale ha la sua grande importanza, molte raffinerie hanno smesso di farlo.
Dall’altro lato, c’è poi il caso della Svizzera: qui le raffinerie hanno negato le ultime indiscrezioni, secondo cui avrebbero acquistato oro russo. Dagli stessi dati sul commercio del paese è emerso però che lingotti d’oro russo hanno fatto il loro ingresso in Svizzera.
Intanto il quotidiano Usa The Hill fa notare che, “sebbene non porti soldi così come fa l’energia, l’oro è una grande fonte di entrata per l’economia russa. La riduzione delle esportazioni verso le economie del G7 provocherà ulteriori sofferenze finanziaria alla Russia”.
Detto questo, c’è anche chi sottolinea come i principali acquirenti di oro, negli ultimi anni, non siano stati tanto i paesi del G7 (Stati Uniti, Francia, Canada, Germania, Giappone, Regno Unito e Italia), ma le banche centrali dei paesi in via di sviluppo, come India e Turchia, e anche Cina.
Stando alla Casa Bianca, comunque, delle esportazioni russe di oro, il 90% è stato consegnato ai paesi del G7. Di queste, più del 90%, o quasi 17 miliardi di dollari, è stato esportato nel Regno Unito, mentre gli Usa hanno importato un valore inferiore a 1 milione di dollari di oro russo nel 2020 e 2021.
E tuttavia diversi analisti che sono stati intervistati da Bloomberg stanno sottolineando in queste ultime ore che, la misura annunciata dai paesi del G7, ha un valore alla fine soprattutto simbolico.
“L’impatto dell’embargo sulle importazioni di oro russo da parte delle nazioni del G7 si confermerà probabilmente limitato, visto che l’industria ha preso già provvedimento per sanzionare l’oro russo – ha commentato Warren Patterson, responsabile della divisione di strategia sulle commodities di ING Groep – Sembra una misura largamente simbolica“.
Idem Vivek Dhar, analista della divisione di materie prime presso Commonwealth Bank of Australia che, in una nota, ha sottolineato che “il divieto formalizza semplicemente quello che è già in atto attraverso le sanzioni”. Di conseguenza, a suo avviso i prezzi dell’oro non subiranno grandi cambiamenti anche se, sulla scia della notizia, le quotazioni del contratto post sull’oro sono salite stamattina a $1,835.58 l’oncia, mentre i futures sull’oro sono avanzati a $1.836,30.