Powell (Fed) cauto: teme recessione, ma anche rischio stabilità mercati con tassi troppo bassi. Draghi continua invece a sfidare tutti
Da un lato, c’è la preoccupazione che le probabilità di una recessione, negli Stati Uniti, siano “cresciute in modo notevole”. Dall’altro lato, c’è la sensazione che i mercati finanziari starebbero scommettendo troppo sulla politica monetaria espansiva della Federal Reserve. La Fed di Jerome Powell è decisamente diversa dalla Bce di Mario Draghi: mentre Francoforte promette (e fa) di tutto e di più, Powell sembra invitare sempre a non sperare troppo nei bazooka della Banca centrale Usa: fattore che, di norma, fa andare su tutte le furie il presidente Donald Trump.
C’è qualcosa che accomuna sempre di più le due banche centrali: una visione, sul da farsi, sempre meno omogenea e sempre più frammentata, un confronto tra falchi e colombe sempre più serrato.
Dalle minute del Fomc, emerge per esempio che, nell’ultima riunione del 17 e 18 settembre, l’ulteriore taglio dei tassi sui fed funds di 25 punti base, al nuovo range compreso tra l’1,75% e il 2%, è stato appoggiato da 7 voti favorevoli e rifiutato da tre contrari, nonostante i timori sul rallentamento dell’economia e dell’inflazione.
D’altronde, si legge nel report, “l’economia Usa e il mercato del lavoro sono solidi”. Diversi esponenti del Fomc avrebbero voluto, di conseguenza, che i tassi fossero stati lasciati fermi (dopo il taglio di luglio), e hanno fatto notare che le proiezioni di base erano cambiate in misura molto lieve e che il permanere delle incertezze non avrebbe, dopotutto, fatto deragliare la fase di espansione economica. Di conseguenza, a loro avviso, un altro taglio dei tassi sarebbe stato eccessivo.
Allo stesso tempo, le minute confermano l’arrivo di “indicazioni più chiare sulla debolezza degli investimenti e delle esportazioni” e, tutti in generale, hanno manifestato una preoccupazione maggiore per i rischi legati alla guerra commerciale in corso, per il deterioramento dei fondamentali e per le tensioni geopolitiche. L’inflazione si è confermata altro fattore che ha avallato la prosecuzione della fase espansiva della politica monetaria targata Fed.
La Fed ha però messo in guardia i mercati: “alcuni esponenti (del Fomc) hanno detto che i mercati stanno prezzando future mosse accomodanti in misura maggiore rispetto a quanto sarebbe appropriato”. E che, “per questo motivo, è possibile che debbano meglio allineare le loro aspettative”.
Inoltre, almeno “due banchieri hanno sollevato la questione che, nel tenere i tassi di interesse bassi per un periodo lungo di tempo, (la Fed) potrebbe involontariamente “scatenare una eccessiva assunzione del rischio nei mercati finanziari, minacciando così la stabilità finanziaria”.
A fronte di una Fed che sembra andare sempre con i piedi di piombo, c’è una Bce che – con il mandato di Draghi agli sgoccioli – continua ad andare dritta per la sua strada.
Tanto che, in attesa delle minute della Bce che saranno rese note oggi, spunta un report dell’Ft che riporta l’indiscrezione secondo cui la Commissione di politica monetaria della Bce, in una lettera inviata a Mario Draghi e ad altri esponenti del Consiglio direttivo, si è mostrata contraria al rilancio del QE, qualche giorno prima dell’annuncio della decisione di ripristinare il bazooka.
L’Ft riporta che è stata una delle rare volte in cui un consiglio della commissione non è stato seguito, nel corso del mandato di Draghi come presidente della Bce, dunque in questi ultimi otto anni. Detto questo, il consiglio della commissione non è vincolante, sostanziandosi piuttosto in un suggerimento. Le indiscrezioni vengono comunque monitorate, in un contesto in cui aumentano le critiche contro il banchiere super-dovish che, secondo molti, starebbe facendo gli interessi dell’Italia, mantenendo i tassi bassi in modo artificiale.