Petrolio WTI verso $64 su rafforzamento asse Usa-Arabia Saudita. Timori accordo nucleare Iran
La visita del principe saudita Mohammed Bin Salman negli Stati Uniti, con un tour che durerà tre settimane, scatena nuove speculazioni tra chi fa trading sul petrolio. Più che calorosa l’accoglienza del presidente Usa Donald Trump, che lo ha definito amico degli Stati Uniti e “grande acquirente” di armamenti americani.
Trump ha detto che “molte persone hanno un lavoro” grazie al business dell’Arabia Saudita, aggiungendo che il Regno ha finalizzato l’acquisto da aziende americane di aerei, missili e fregate per un valore di $12,5 miliardi.
Dal canto suo, il principe Mohammed ha parlato di una relazione “molto profonda” con gli Usa, annunciando che il suo paese sta considerando ulteriori investimenti negli Stati Uniti.
Il rafforzamento delle relazioni Washington e Riad porta gli investitori a ritenere che l’asse andrà a detrimento dell’Iran, dopo le dichiarazioni infuocate con cui Trump ha già indicato il desiderio di ritirare l’America dall’accordo sul nucleare che la precedente amministrazione di Barack Obama ha siglato con Teheran.
A New York, il contratto WTI ad aprile scade così dopo un balzo del 2,2%, a $63,40, massimo livello di chiusura per i futures a un mese dallo scorso 26 febbraio.
Il contratto con scadenza a maggio avanza anch’esso verso quota $64, mentre il Brent si attesta a $67,50 circa.
Una eventuale ritirata degli Usa dall’accordo nucleare siglato con l’Iran alimenterebbe il rischio di sanzioni sulle esportazioni iraniane di petrolio, a danno dell’offerta.
In questo contesto, Citigroup fa notare che è improbabile che il recente trading dei prezzi del petrolio, che hanno oscillato all’interno di un range molto stretto, di appena 4 dollari dalla metà di febbraio, continui ancora.
Contattato da Bloomberg Will Yun, analista del settore commodities presso Hyundai Futures, afferma che “i rischi geopolitici e le incertezze stanno aumentando, con gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita che condividono lo stesso interesse, che è quello di isolare l’Iran”.
La pressione rialzista sui prezzi arriva anche con i dati dell’API (American Petroleum Institute), che dovrebbero certificare un crollo delle scorte di petrolio crude negli Stati Uniti di 2,74 milioni di barili, la scorsa settimana. Se i dati saranno confermati oggi dall’EIA, la flessione sarà stata la più forte dall’inizio di gennaio.