Petrolio: potenziale risalita nel 2023 con deficit offerta sul mercato
Nelle ultime settimane le quotazioni del petrolio hanno sostanzialmente annullato i rialzi innescati dall’annuncio del taglio dell’offerta da parte dell’Opec+ a inizio aprile. Le pressioni ribassiste potrebbero durare ancora qualche tempo, ma i fondamentali indicano un nuovo incremento nella seconda metà dell’anno, come sottolinea un’analisi di ING.
I tagli dell’Opec+
Nella riunione del 2 aprile scorso l’Opec+ ha annunciato a sorpresa un taglio della produzione di greggio di 1,15 milioni di barili al giorno, avviato a maggio e destinato a durare fino a fine 2023. La Russia, inoltre, ha esteso fino a fine anno il taglio da 0,5 mln di barili di petrolio precedentemente previsto fino a giugno. Il tutto, per un totale di 1,6 milioni di barili al giorno in meno di petrolio sul mercato tra luglio e dicembre, pari all’1,6% dell’offerta globale.
L’azione ha innescato diverse critiche, come quella del Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen, che ha parlato di una “scelta non costruttiva, in un momento nel quale l’inflazione è già elevata ed è importante cercare di tenere i prezzi energetici bassi”.
Altri hanno minimizzato l’impatto della decisione, che tuttavia ha portato gli analisti a rivedere al rialzo le stime sulle quotazioni del greggio, prevedendo valori intorno ai 100 dollari al barile, complici la riduzione dell’offerta e la domanda derivante dalla riapertura della Cina.
La reazione del greggio e le motivazioni
Dopo l’annuncio dell’Opec+ le quotazioni del petrolio hanno accelerato al rialzo. Il Wti è arrivato a superare gli 83 dollari il 12 aprile mentre il Brent viaggiava sopra gli 86 dollari, prima di avviare una fase discendente che ha portato i due future rispettivamente a 71 e 75 dollari al barile attuali.
“La svendita nel mercato è stata inesorabile nelle ultime settimane, con un crescente sentiment negativo alimentato dalle preoccupazioni per il contesto macro e dalle possibili conseguenze per la domanda di petrolio”, sottolineano gli analisti di ING.
I timori di recessione, infatti, in un quadro caratterizzato da persistente inflazione e continui rialzi dei tassi da parte delle banche centrali, continua a penalizzare le previsioni sull’andamento dell’economia globale, non consentendo di escludere totalmente una pur lieve recessione anche in alcuni Paesi sviluppati, compresi gli Usa, con effetti negativi sulla domanda di greggio.
Inoltre, aggiunge ING, “anche i margini più deboli delle raffinerie hanno sollevato dubbi sulla solidità della domanda di petrolio. Parte della debolezza è stata guidata anche dalla dinamica dell’offerta, con i flussi di prodotti raffinati russi che tengono bene, mentre in Asia le esportazioni cinesi di prodotti raffinati rimangono forti.”
Nel complesso, i segnali di un’offerta resiliente a fronte di una domanda potenzialmente in calo ha dunque avuto riflessi negativi sulle quotazioni.
Le stime di ING
ING ha rivisto al ribasso le previsioni sulla domanda globale di petrolio, che ora “dovrebbe crescere di circa 1,9 milioni di barili/giorno nel 2023, rispetto alla nostra precedente stima di 2 milioni di barili/giorno.”
Questa correzione “è in gran parte guidata dagli Stati Uniti, dove il nostro team macro prevede una contrazione dell’economia piuttosto consistente nell’ultima parte dell’anno. Circa il 90% della crescita della domanda globale sarà trainata da paesi non OCSE.”
Ricordiamo che le proiezioni di aprile dell’International Energy Agency (IEA) indicavano una domanda mondiale di petrolio in crescita, in media, di 2 milioni di barili/giorno nel 2023, a 101,9 mb/g, con i Paesi non OCSE a rappresentare l’87% della crescita e la sola Cina responsabile di oltre la metà dell’incremento globale.
Le incognite legate all’offerta di Iraq e Russia
Dal lato dell’offerta, evidenzia ING, “il mercato petrolifero ha dovuto affrontare continue interruzioni dei flussi di petrolio dal nord dell’Iraq attraverso Ceyhan in Turchia. Questo, dopo che un tribunale si è pronunciato a favore del governo iracheno in una disputa sui flussi curdi attraverso la Turchia. Lo stop trattiene circa 450 Mbbl/giorno dal mercato, come avviene dalla fine di marzo. L’Iraq è ancora in trattativa con la Turchia, ma non è ancora chiaro quando riprenderanno i flussi.
Per quanto riguarda invece la Russia, “i flussi di export via mare continuano a tenere bene, con volumi ancora sui livelli prebellici. L’impatto dei divieti di importazione e dei price cap ha quindi avuto un impatto sui flussi molto più contenuto di quanto si pensasse inizialmente.
Le aspettative per il 2023
Sebbene il mercato petrolifero sia stato finora ben rifornito nel 2023, si prevede che si contrarrà in modo significativo nella seconda metà dell’anno. “La crescita della domanda in gran parte da paesi non OCSE combinata con i tagli all’offerta dell’OPEC+ dovrebbe portare il mercato a ridurre le scorte nell’ultima parte dell’anno. Sebbene assisteremo a una crescita dell’offerta statunitense, sarà molto più modesta degli anni precedenti e non sufficiente a prevenire un ampio deficit entro la fine dell’anno.”
Previsioni qualitativamente in linea con quelle dell’Eia, che già un mese fa indicava come, alla luce dei tagli dell’Opec+, sarebbe stato complicato soddisfare la crescente domanda e sottolineava come la produzione di scisto statunitense, tradizionalmente molto reattiva alle variazioni di prezzo, sia attualmente limitata dai colli di bottiglia della catena di approvvigionamento e dai costi più elevati.
In definitiva, anche l’IEA stimava un deficit di offerta nella seconda metà dell’anno, potenzialmente in peggioramento a causa dei tagli.
Cosa farà l’Opec+
Le ultime mosse dell’OPEC+, afferma ING, suggeriscono che il gruppo sia “pienamente consapevole della limitata crescita dell’offerta da parte dei membri non OPEC+”, non in grado di compensare i tagli.
Anche secondo l’EIA, infatti, la riduzione dell’output da parte del cartello e dei suoi alleati potrebbe far diminuire la produzione di 1,4 mb/g da marzo a fine anno, provocando uno squilibrio a fronte dell’aumento di 1 mb/d previsto per la produzione non OPEC.
L’OPEC+ è dunque “fiducioso di poter tagliare la produzione senza il rischio di perdere una grossa quota di mercato. Se dovessimo assistere a un’ulteriore pressione al ribasso dei prezzi del petrolio nei prossimi mesi, l’OPEC+ potrebbe essere costretta ad agire riducendo ulteriormente l’offerta”, afferma ING
Lo scenario più probabile e i livelli target
In ogni caso, conclude ING, “prevediamo che i prezzi del petrolio salgano rispetto ai livelli attuali a causa del contesto di deficit nella seconda metà dell’anno, anche se le aspettative di domanda leggermente più deboli e l’offerta russa vischiosa significano che questo deficit non è così ampio come inizialmente previsto.”
Di conseguenza, “abbiamo rivisto al ribasso le nostre previsioni di prezzo per il Brent da 101 USD/bbl a 96 USD/bbl nella seconda metà del 2023”.