Petrolio: Brent e WTI ai massimi da novembre. L’outlook del guru che ‘vide’ il crash del 2015
Prezzi del petrolio ai massimi dell’anno, testano valori record dal novembre dello scorso anno, sostenuti da una serie di fattori: i tagli alla produzione decisi dall’Opec, le sanzioni Usa imposte contro l’Iran e il Venezuela, e le speranze che la guerra commerciale Usa-Cina venga smorzata con le trattative in corso tra le controparti. In particolare, le quotazioni del Brent sono salite nelle ultime ore, durante le contrattazioni asiatiche, fino a $66,78 al barile, valore più alto dal novembre del 2018. I futures sul contratto WTI scambiato a New York, sono balzati anch’essi dal record da novembre, a $56,13 al barile.
I prezzi continuano a essere sostenuti dalla percezione di un’offerta in contrazione a livello mondiale, in primis a causa dei tagli decisi dall’Opec e da altri produttori non Opec, come la Russia. Proprio questi paesi produttori di petrolio hanno raggiunto alla fine dell’anno scorso un accordo per tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno, nella speranza di dare uno stop alla crescita dell’output.
I trader interpellati da Reurters hanno spiegato l’ottimismo sui mercati petroliferi anche con le speranze che Cina e Stati Uniti risolvano presto il conflitto commerciale, che ha messo un freno alla crescita dell’economia globale.
Gli analisti di ANZ Bank hanno in tal senso fatto riferimento ai “segnali positivi nei negoziati Usa-Cina, che hanno aiutato a sostenere il sentiment sui mercati”. Sentiment che ha ricevuto però una scossa con la pubblicazione dei dati relativi alle vendite di veicoli in Cina che, a gennaio, sono precipitate del 15,8% su base annua. Si è trattata della prima flessione su base annua delle vendite di veicoli, in Cina, nel corso della storia.
Il dato ha messo anche in evidenza che le nuove vendite di veicoli che fanno uso di fonti alternative di energia e che includono le auto elettriche sono balzate del 140%, avallando l’ipotesi di chi crede che la domanda di petrolio da parte cinese potrebbe testare il picco nei prossimi anni.
Dal lato dell’offerta, una minaccia per i prezzi nel breve termine è rappresentata invece dal continuo rialzo della produzione di crude oil da parte degli Stati Uniti che, nel 2018, è stata superiore a 2 milioni di barili al giorno, al record di 11,9 milioni di barili, a conferma di come l’output americano continuerà a crescere.
Focus sulle dichiarazioni degli analisti, in particolare di Tom Kloza, di Oil Price Information Services, intervistato dalla Cnbc. Concentrandosi sul WTI, Kloza ha detto di ritenere che non ci sia molto, al momento, che possa deragliare la fase di rally, anche guardando al secondo trimestre. “I prezzi saliranno oltre il livello attuale”, ha detto il co-fondatore e responsabile globale dell’analisi di energia della società.
Allo stesso tempo, per Kloza – noto per aver previsto il collasso dei prezzi petroliferi nel 2015 – il rialzo dei prezzi avverrà in modo molto più graduale rispetto a quanto avvenuto all’inizio di quest’anno. Altra notizia non proprio confortante per i bullish sui prezzi del petrolio è che, nonostante l’outlook rialzista, Kloza crede che i prezzi del petrolio termineranno il 2019 a un livello inferiore rispetto a quello dello scorso anno. A tal proposito, da segnarlare che l’agenzia americana EIA ha calcolato il prezzo medio del WTI crude dello scorso anno a $65,06 il barile.
“Il margine di rialzo è limitato a 5 dollari circa al barile o giù di lì”, ha detto l’esperto. Da segnalare che i prezzi del petrolio sono volati di ben il 20% a gennaio, riportando il miglior gennaio della storia.