Peso argentino in caduta libera, supera lira turca e diventa peggior valuta emergente
Il peso argentino diventa sempre di più triste protagonista del mercato del forex, con quella perdita di quasi -50% nei confronti del dollaro, che ha sofferto quest’anno. Inutile il tentativo della banca centrale di sostenere il valore della valuta o quantomeno di frenarne il crollo, alzando i tassi di interesse di ben il 15%, dal 45% al 60%. Alla fine, il presidente Mauricio Macri è stato costretto ad annunciare una serie di misure, che possano accelerare gli esborsi finanziari concordati con l’Fmi nel mese di giugno. Si parla di un bailout di $50 miliardi.
Lo scorso 30 agosto, il peso ha superato anche la lira turca, aggiudicandosi il triste primato di peggiore valuta dei mercati emergenti del 2018.
Il peso argentino ha bruciato quasi il 50% nei confronti del dollaro da inizio anno. Le altre valute emergenti più colpite dagli smobilizzi sono la lira turca, il real brasiliano, il rand sudafricano, il rublo, la rupia indonesiana e la rupia indiana.
Lunga la carrellata di annunci per fare ciò che il Fondo Monetario Internazionale chiede, come condizione sine qua non per erogare una nuova tranche di finanziamenti:
Macri ha promesso misure draconiane, tra cui l’eliminazione di interi ministeri, il ridimensionamento della macchina governativa, in aderenza al principio secondo cui l’Argentina deve prefissarsi l’obiettivo di non spendere più di quello che ha”. Nell’intento di rimettere i conti in ordine, verranno inoltre imposte tasse più alte sulle esportazioni, tra i settori economici più proficui per la sua economia. Visto che le aziende esportatrici stanno beneficiando del crollo del peso, è questo il ragionamento di Macri, è giusto che facciano la loro parte pagando più tasse.
Considerata infine l’inflazione galoppante, che si è trasformata in iperinflazione, verranno avviati controlli sui prezzi su alcuni beni alimentari essenziali.
Un programma di austerity, che Macri tra l’altro non nasconde. Tanto da dire che la realizzazione di queste misure “farà salire la povertà”. Il target anti-deficit è quello di raggiungere l’equilibrio dei conti nel 2019, e poi di agguantare un surplus dell’1% nel 2020, grazie ai più di 350 miliardi di peso argentini che incasserà con le tasse sulle esportazioni”.
Intervistato dal New York Times l’analista esperto di politica Sergio Berensztein ha scritto: “L’Argentina non ha mai portato avanti un piano di austerity di questa grandezza, nella sua storia”. Fausto Sportorno, responsabile economista presso Orlando J. Ferreres & Associates, società di consulenza, ritiene inoltre che le tasse sulle esportazioni “risolveranno soltanto i problemi finanziari di breve periodo”. Tra l’altro, si tratta di “tasse cattive, visto che alterano la produttività dell’economia” e implicano “un sacrificio di lungo termine per il breve termine”.