Outlook globale, La ripresa c’è, ma senza slancio. L’incognita coreana
La ripresa dell’economia globale continua, ma sembra che l’inflazione abbia già toccato il picco in seguito alla stabilizzazione dei costi energetici. Le attese sono di un Pil globale al 3% quest’anno dopo il 2,6% del 2016, mentre si riducono le aspettative sull’inflazione dal 2,4% al 2,3%. La combinazione tra crescita stabile e inflazione moderata significa che restiamo in un contesto di “goldilocks economy”, vale a dire in una fase di attività né abbastanza calda né abbastanza fredda da generare un’accelerazione significativa dell’inflazione. “In altre parole, la crescita globale prosegue, ma l’accelerazione dell’attività iniziata a metà 2016 è terminata, come segnalato dai PMI sia dei Paesi avanzati che emergenti, che hanno raggiunto i livelli di picco”, spiega Keith Wade, Chief Economist and Strategist di Schroders. Che aggiunge: “In termini di politiche monetarie, ci aspettiamo che la Fed tenga i tassi fermi fino a metà 2018, quando inizierà ad alzare il costo del denaro, in modo da raggiungere il 2% entro la fine dell’anno. Questa pausa permetterà alla Fed di iniziare la riduzione del bilancio a settembre 2017, pur mantenendo un approccio cauto per timore di inasprire inavvertitamente le condizioni finanziarie”. Altrove i tassi d’interesse dovrebbero rimanere fermi, di riflesso all’inizio del ciclo in Europa e Asia. “Pensiamo che la BCE inizierà il tapering nel 2018, mentre la Bank of Japan manterrà intatto l’allentamento quantitativo e qualitativo, in quanto faticherà a raggiungere il target dell’inflazione sopra il 2%”, dice Wade.
Il rischio Corea
Quanto alle prossime settimane, secondo Wade, nel corso di questo trimestre non mancherà il rischio politico a causa della minaccia rappresentata dalla Corea del Nord. “Il peggio, cioè una guerra nucleare con gli Stati Uniti, non è da escludere, ma uno scenario molto più probabile è che le tensioni createsi tra Cina e Usa possano sfociare in una guerra commerciale – è il parere dello strategist – È chiaro che la Cina non vuole vedere truppe americane sui propri confini, anche se ciò significa dare sostegno a uno Stato canaglia”. L’ipotetica guerra commerciale scatenata dalla crisi coreana scaturirebbe dalla frustrazione degli Usa per la mancanza di interventi da parte della Cina, e potrebbe spingere il Presidente Trump a imporre un dazio del 40% sulle importazioni cinese nel quarto trimestre di quest’anno, misura nei confronti della quale la Cina risponderebbe con un dazio equivalente, provocando l’interruzione di una delle vie commerciali principali per l’economia mondiale. “La crescita si indebolirebbe e l’inflazione salirebbe – dice Wade – I tentativi della Cina di riallocare la produzione in eccesso tirerebbero l’Europa nella mischia nel secondo trimestre del prossimo anno, con un dazio sui beni cinesi, al quale Pechino risponderebbe con un’imposizione analoga. La Cina inoltre svaluterebbe la moneta per compensare alcuni effetti sulla competitività”. Il risultato netto sarebbe quindi la stagflazione, con un rallentamento dell’economia mondiale al 2,4% nel 2018 rispetto alle aspettative del 3%. L’inflazione da parte sua salirebbe al 2,8% l’anno prossimo, lo 0,6% in più del previsto, e l’accelerazione sarebbe intensificata dall’aumento di breve termine dei prezzi del petrolio, dovuto a un aumento delle scorte per via dei timori di carenza di greggio. “Tutto ciò andrebbe poi scemando, di pari passo all’indebolimento della crescita globale”, aggiunge Wade. Sul fronte valutario, poi, la domanda di porti sicuri causerebbe l’apprezzamento del dollaro contro tutte le altre monete, salvo lo yen giapponese. “In termini di politica monetaria, in questo scenario la Fed dovrebbe tenere un basso profilo, in quanto la maggiore disoccupazione peserebbe sull’inasprimento dei tassi, nonostante l’aumento dell’inflazione”, diceo lo strategist. Che conclude: “L’introduzione dello scenario di una guerra commerciale aumenta la probabilità di stagflazione al 9%, rispetto al 5% precedente, anche se la deflazione continua a rappresentare il principale rischio di coda per l’evoluzione del contesto economico attuale”.