Notizie Notizie Mondo Opzioni no-deal Brexit, Hard Brexit, estensione Articolo 50, secondo referendum tengono in ostaggio la sterlina

Opzioni no-deal Brexit, Hard Brexit, estensione Articolo 50, secondo referendum tengono in ostaggio la sterlina

23 Gennaio 2019 12:05

Caos Brexit, per la prima volta in assoluto il leader dei laburisti Jeremy Corbyn, si dice aperto alla possibilità che venga indetto un secondo referendum per decidere le sorti del paese. Il partito chiede così ai parlamentari di considerare formalmente l’opzione, presentando un emendamento ad hoc.

“Il nostro emendamento permetterà ai parlamentari di votare sulle opzioni volte a porre fine a questa impasse sulla Brexit ed evitare il caos di un no-deal (Brexit). E’ tempo che il piano alternativo del Labour diventi centrale, mantenendo tutte le opzioni sul tavolo, inclusa quella di un voto pubblico”.

Il leader laburista ha così ceduto alle pressioni di 71 parlamentari laburisti che la scorsa settimana, giorno in cui la Camera dei Comuni ha bocciato la loro mozione di sfiducia a contro la premier Theresa May, hanno dichiarato apertamente il loro sostegno all’opzione di un secondo referendum.

Il tutto mentre May, lo scorso lunedì, si è presentata al Parlamento per illustrare il suo piano B, che molti sottolineano non sia alla fine molto diverso dal piano A.

Tra le novità, quella di stracciare la tassa che i cittadini dell’Unione europea desiderosi di rimanere nel Regno Unito hanno dovuto versare. La premier ha anche promesso di essere determinata a lavorare con l’Ue e il Parlamento UK al fine di trovare una soluzione accettabile sul cosiddetto confine irlandese (Irish backstop).

Ieri, rileva una nota di Intesa SanPaolo, “la sterlina ha tratto profitto dalle attese di rinvio dell’uscita recuperando lo 0,6% sia contro dollaro sia contro euro rispettivamente a 1,2960 e a 0,8770, e in entrambi i casi il livello è al di sopra della media mobile a 20gg. Bisogna attendere che il parlamento voti sugli emendamenti alla mozione del governo, alcuni dei quali potrebbero avere qualche possibilità di passare”.

La sterlina guadagna anche oggi, salendo verso quota $1,30. Secondo Kathy Lien, managing director della strategia sui cambi presso BK Asset Management, il caos Brexit è tale che “il mercato ora sta scontando del tutto la prospettiva di una Hard Brexit, sebbene rimanga il rischio politico e la volatilità sia destinata sicuramente a salire, in assenza di chiare indicazioni al mercato di un qualsiasi percorso”.

Proprio la questione del backstop continua a confermarsi Pomo della discordia tra May e diversi membri del suo stesso partito.

L’accordo siglato tra May e Bruxelles sulla Brexit (che è stato sonoramente bocciato lo scorso 15 gennaio) garantisce che il confine tra l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito e dunque dovrebbe seguire il destino riservato dalla Brexit agli UK) e la Repubblica dell’Irlanda (parte dell’Ue) rimanga aperto dopo il divorzio di Londra dall’Europa.

L’intento è di continuare a rispettare gli accordi del Venerdì Santo del 1998, con cui è stata posta la parola fine alla sanguinosa guerra civile tra i protestanti favorevoli al dominio della corona inglese sull’Irlanda del Nord e i nazionalisti cattolici irlandesi. Ma, anche (o soprattutto) che l’integrità territoriale del Regno Unito non venga messa in discussione.

Come ha spiegato la BBC “al momento, nell’isola irlandese, i beni e i servizi sono scambiati tra le due giurisdizioni con poche restrizioni. Sia gli UK che l’Irlanda fanno parte al momento dell’unione doganale e del mercato unico europeo, per cui i prodotti non devono essere ispezionati in nessuna frontiera. Tutto ciò potrebbe però cambiare dopo la formalizzazione della Brexit, visto che le due parti dell’Irlanda si troverebbero in regimi di regolamentazione diversi’ (l’Irlanda del Nord fuori dall’Ue e la Repubblica dell’Irlanda nell’Ue).

E’ su un backstop applicato solo all’Irlanda al Nord che la premier britannica si è strenuamente opposta: in quel caso, infatti, i beni del resto degli UK in arrivo nell’Irlanda del Nord dovrebbero essere ispezionati per essere sicuri che rispettino gli standard dell’Unione europea. 

Theresa May ha sottolineato più volte che una tale soluzione – auspicata inizialmente da Bruxelles – finirebbe per minacciare l’integrità costituzionale dell’intero Regno Unito.

Alla fine, dopo mesi di impasse, Theresa May ha annunciato lo scorso 14 novembre una bozza di accordo UK-Ue che include anche un’intesa sul backstop.

Secondo tale accordo, nel caso in cui nessuna soluzione venisse trovata entro la fine del periodo di transizione fissato al dicembre del 2020, l’Irlanda del Nord dovrebbe rispettare alcune regole che disciplinano il mercato unico europeo. Allo stesso tempo, anche il resto del Regno Unito rimarrebbe nell’Unione doganale Ue in via indefinita, e fino a quando le controparti non decidessero altrimenti.

La soluzione ha scatenato però l’ira di diversi Brexiter, che temono che in questo modo il Regno Unito non lascerà mai di fatto l’Unione europea, e che desiderano che gli UK escano dall’Unione doganale, in modo da poter siglare accordi commerciali liberi dai vincoli che Bruxelles ha imposto su settori diversi, come quello agricolo, ittico, alimentare e ambientale.

Di conseguenza, si può dire che i parlamentari pro-Brexit più agguerriti sono fermamente contrari all’accordo sul backstop in quanto lo vedono come una trappola che farebbe rimanere il Regno Unito nell’Unione doganale con l’Ue in modo indefinito; dal canto loro, i membri del Partito Unionista dell’irlanda del Nord si oppongono a qualsiasi accordo che possa riservare all’Irlanda del Nord un trattamento diverso rispetto a quello deciso per il resto del Regno Unito.

Il piano B di May punta su ulteriori concessioni sul backstop da parte dell’Unione europea.

In base ai termini attuali dell’accordo – che Bruxelles non sembra propensa a rinegoziare – Londra non può revocare il backstop (confine senza barriere tra Irlanda del Nord e Irlanda, o anche assicurazione che consente all’Irlanda di continuare a essere caratterizzata dalla presenza di un confine senza barriere tra Dublino e Belfast) in modo unilaterale.

L’impasse sulla Brexit è stata certificata oggi dallo stesso commissario agli Affari economici e monetari Pierre Moscovici che, parlando da Davos, ha detto che la Commissione europea è, “ovviamente, pronta a discutere”.

Sul rischio che la data effettiva della Brexit, fissata al 29 marzo di quest’anno, venga posticipata, “questo è uno scenario possibile, ma affinché si verifichi devono realizzarsi due condizioni. La prima, è che ci deve essere unanimità nel prendere una tale decisione, ma su questo non sono molto preoccupato perchè fino a oggi i 27 stati dell’Ue si sono confermati molto uniti (sulla questione), e non credo che ciò cambiarebbe. La seconda condizione è che ci dovrebbe essere una ragione per l’estensione. Dobbiamo capire perchè posticipare, ai fini di cosa, e quale sia il piano. La palla è nel campo del Regno Unito”.

E’ in questo contesto che la sterlina continua a muoversi, mostrando una certa resilienza se si considera la situazione di stallo sulla Brexit.

Secondo Michael Hewson, Chief Market Analyst presso CMC Markets UK, “la sterlina continua a muoversi al rialzo sulla scia delle speculazioni secondo cui, alla fine, i parlamentari britannici riusciranno a scongiurare lo scenario peggiore, quello di una Brexit senza accordo, appunto di un ‘no deal Brexit’.

LA NOTA DI ALESSANDRO BALSOTTI, STRATEGIST E GESTORE JCI FX MACRO FUND

L’avvicinarsi della scadenza del 29 marzo inizia a far emergere dinamiche prima meno esplicite e in grado di forse di cambiare antagonismi e contrapposizioni incancrenitisi per mesi.

Gli hard Breexiters temono il referendum e la potenziale marcia indietro sull’uscita che ne potrebbe risultare.

Gli irlandesi si stanno rendendo conto delle conseguenze di un ‘no deal Brexit dell’hard border con l’Ulster’ che porterebbe.

I conservatori sudano freddo all’idea di elezioni anticipate che potrebbero (ma non è detto) lanciare la volata a Corbyn. Una teoria dei giochi che resta sempre complessa, sebbene dal polverone inizi ad emergere qualche punto di riferimento in più che cerchiamo di riassumere per punti: Theresa May non vuole cascare nella trappola di Corbyn.

L’intransigenza dei laburisti sul voler lavorare unicamente su un’ipotesi di permanenza a tempo indeterminato nell’unione doganale sembra costruita ad hoc per far saltare definitivamente la già debole coesione del campo conservatore.

Da qui la rinuncia formale dell’esecutivo a perseguire almeno per ora delle intese bipartisan e a tornare alla difficilissima strategia di trovare, per uscire dall’impasse, una maggioranza parlamentare che coincida con la (risicata) maggioranza di governo (ovvero Conservatori+DUP).

Se per evitare guai peggiori si dovrà venire a più miti consigli e patteggiare coi nemici politici dovrà avvenire non per iniziativa del governo ma con il Parlamento a guidare e per mancanza di alternative. Questo sembra essere il calcolo politico che sta facendo ora il Primo Ministro. Una forma di Brexit che accontenti una maggioranza parlamentare (in prima istanza a questo punto la maggioranza che sostiene il governo) e sia accettabile per l’Europa continua a rappresentare una quadratura del cerchio complicata se non impossibile.

L’avvicinarsi di scadenza e baratro (l’orrido sul fondo assume sembianze diverse -no-Brexit, no-deal Brexit, elezioni anticipate–a seconda di chi si sporge) potrebbe però riuscire man mano ad abbassare miracolosamente l’asticella. La questione irlandese resta il nodo principale.

L’Irlanda è ovviamente l’ago della bilancia europea nel voler rigettare qualsiasi ipotesi di ‘backstop’ (il ritorno nell’unione doganale se nei prossimi anni non si trovasse un accordo su assetti definitivi futuri tra Londra e Bruxelles) limitata nel tempo.

Una backstop illimitata rappresenta invece la criptonite per i Brexiteers più convinti che temono di rimanere per sempre intrappolati in un’unione doganale in grado di impedire qualsiasi libertà di negoziazioni di accordi bilaterali indipendenti UK-Resto del Mondo (una delle ragioni d’essere della Brexit stessa insieme all’impedire la libera circolazione delle persone).

Lentamente ma inesorabilmente però l’Irlanda si sta rendendo conto che una posizione troppo rigida, aumentando i rischi di un’uscita senza accordi, potrebbe portare effetti ancora peggiori: una vera e propria (immediata) frontiera tra Dublino e Belfast con tanti saluti agli accordi del Good Friday. È questo l’anello debole su cui Theresa May pensa di poter lavorare”.