Mercati in balia per colpa del petrolio. I rischi su tassi e inflazione
Durante il fine settimana, i membri dell’Opec+ hanno annunciato a sorpresa massicci tagli alla produzione di petrolio, una mossa che ha causato un’impennata dei prezzi del petrolio. In particolare, i Paesi del cartello dell’Opec+ hanno annunciato un taglio totale di 1,157 milioni di barili, che entrerà in vigore da maggio fino alla fine dell’anno.
Questi tagli da una parte potrebbero suggerire che l’Opec+ nutra crescenti preoccupazioni riguardo le prospettive future della domanda di greggio, ma dall’altra complica il lavoro per le banche centrali di mezzo mondo che ormai sembravano sul punto di bloccare il loro ciclo di rialzo dei tassi di interesse volte a controllare l’inflazione. Ad oggi infatti si stava sempre più profilando una riduzione dell’inflazione favorita principalmente proprio dai recenti cali dei prezzi petroliferi, ma adesso questo scenario rischia di mutare improvvisamente.
Questo è il tema in questo momento, con gli operatori che sono intenti nel valutare quanto l’aumento del prezzo del petrolio potrebbe rendere più difficile per le banche centrali controllare l’inflazione, aumentando ulteriormente i tassi.
Nel complesso, nonostante rimangano rischi di rallentamento per l’economia globale, “l’industria Usa del petrolio e del gas potrebbe essere ben posizionata per beneficiare di queste dinamiche: grazie all’inatteso aumento dei prezzi, le società statunitensi di petrolio shale probabilmente aumenteranno la loro guidance di crescita della produzione.” Questo è ciò che afferma Roberta Caselli, Research Associate di Global X.
L’impatto della decisione sull’inflazione
La volontà di sostenere i prezzi e di prevenire l’indebolimento della domanda, viste le turbolenze del sistema bancario, sono solo alcune delle potenziali giustificazioni della decisione dell’Opec+. Nonostante il recente calo dei prezzi del gas abbia attenuato i timori di una recessione, i membri dell’OPEC+ potrebbero adesso essere preoccupati dell’impatto di una potenziale recessione sulla domanda di petrolio. Da questo punto di vista, il gruppo ha infatti descritto la riduzione come “precauzionale”.
Ma non solo, secondo Roberta Caselli, “l’Arabia Saudita ha espresso anche preoccupazione per la mancanza di investimenti nel settore petrolifero da parte della comunità internazionale; i ricavi del petrolio stanno finanziando le riforme economiche del principe Mohammed, e pertanto l’Arabia Saudita e i suoi partner OPEC potrebbero anteporre le loro esigenze finanziarie e i loro piani di investimento agli obiettivi geopolitici”.
Cambia lo scenario per le Banche centrali
Venendo alle conseguenze di questa decisione, certamente l’effetto sull’inflazione è significativo. Gli investitori infatti speravano che le banche centrali stessero per sospendere il ciclo di rialzi, grazie alle minori pressioni sui prezzi, ma quest’ultimo sviluppo complica ulteriormente lo scenario.
Un aumento del prezzo del petrolio potrebbe infatti rendere più difficile per le banche centrali controllare l’inflazione, costringendo così le Banche centrali ad alzare ulteriormente i tassi di interesse.
Nel complesso, nonostante rimangano rischi di rallentamento dell’economia globale, ci aspettiamo che il mercato petrolifero si irrigidisca nei prossimi trimestri, a causa dei nuovi rischi sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda, con la riapertura della Cina.
Un risultato della crescita della produzione di petrolio e gas USA è stato l’aumento della domanda di condotte midstream, strutture di stoccaggio e impianti di lavorazione, una tendenza che potrebbe continuare nel 2023. Anche se c’è già stata una forte ripresa in questo senso, gli analisti di Global X ritengono che gli investitori possano trovare valore nelle società midstream grazie alle valutazioni convenienti, al potenziale di diversificazione e alla poca sensibilità all’inflazione.
Conseguenze sul prezzo della benzina
Questo contesto non fa altro che alimentare i timori che il prezzo dei carburanti possano tornare ad aumentare dopo il recente balzo del prezzo del greggio, un’eventualità che sembra ormai inevitabile già a partire dalle prossime settimane.
Tuttavia, non è così immediato che ad una variazione del prezzo del future del greggio corrisponda un’immediato adeguamento del prezzo dei carburanti. Questo perché il processo di produzione dei carburanti è lungo e coinvolge più fasi e intermediari, ma anche perché il prezzo alla pompa è determinato da diversi fattori:
- Raffinazione, stoccaggio e trasporto che hanno un’incidenza di circa il 20-25% sul prezzo finale della benzina.
- Domanda e offerta di benzina e proprio su questi va ad agire il cartello dell’Opec, che aumenta o diminuisce artificialmente la domanda o l’offerta di petrolio in modo da innescare un repentino movimento sui prezzi del future.
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Tasse e accise: particolarmente alte in Italia.
Tuttavia, ricordiamo che anche se il prezzo della materia prima incide sul prezzo dei carburanti, questo non è il peso maggiore. - Speculazione: il prezzo del greggio grezzo è definito in primis dai grandi produttori mondiali di petrolio che per l’appunto appartengono ai cartelli dell’Opec e dell’Opec+. Come dicevamo, questi cartelli hanno un enorme potere in quanto possono aumentare o ridurre la produzione di petrolio, andando a influire direttamente sulla domanda e sull’offerta di petrolio mondiale.
In conclusione, il prezzo del petrolio grezzo incide per meno di un quarto sull’andamento del prezzo dei carburanti alla pompa e non è detto che a un calo/rialzo del prezzo dell’oro nero corrisponda una riduzione/aumento istantaneo del prezzo dei carburanti.
Il prezzo dei carburanti, infatti, dipende per circa il 43% dai costi industriali e commerciali, mentre l’influenza maggiore è data dalla componente fiscale, che ad oggi vale circa il 60% del prezzo (che corrisponde a circa 1 euro).