Lezione Draghi al Mit: “lotta all’inflazione non è terminata”
Mario Draghi sale in cattedra al Massachusetts Institute of Technology (Mit). Una lezione che fa il giro del mondo. L’occasione è la consegna all’ex numero uno della Bce del premio Miriam Pozen (stesso riconoscimento ricevuto nel 2020 dall’ex vicepresidente della Fed Stanley Fisher, docente di economia di Draghi al Mit negli anni ’70), per la sua leadership nella politica finanziaria internazionale. Un discorso che inizia con i ringraziamenti proprio a Fisher che definisce “un gigante dell’economia, mentore e amico”. Un intervento che attinge, come ha puntualizzato lo stesso Draghi, alle sue recenti esperienze come primo ministro italiano e come presidente della Bce.
Le sfide e il cambio di paradigma
Due i temi, meglio definirle le sfide, che Mario Draghi ha toccato: la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione, assieme alle tensioni in Cina. “Questi eventi hanno colto i policy maker di sorpresa” e hanno imposto “cambio di paradigma”, ha affermato Draghi davanti alla platea di docenti, economisti del Mit. Lo stesso ateneo americano che Draghi ha frequentato negli anni ’70, quando era in corso la crisi petrolifera, la guerra fredda e l’inflazione alle stelle. Nel suo lungo discorso Supermario ha dichiarato: “un cambio di paradigma che può portare a tassi di crescita potenziale più bassi” e che “richiederebbe politiche che portino a deficit di bilancio e tassi di interesse più elevati”.
La lotta all’inflazione non è terminata
Draghi si sofferma ampiamente sull’inflazione, che resta uno dei temi chiave sui mercati. “L’inflazione si sta dimostrando più resiliente di quanto le banche centrali avessero inizialmente ipotizzato” e “la lotta all’inflazione non è terminata”. Di fronte al caro prezzi, l’ex presidente della Bce ha avvertito: “Probabilmente sarà necessario proseguire con cautela e prudenza l’inasprimento monetario sia attraverso tassi di interesse più elevati, sia allungando i tempi per invertire la rotta. Tuttavia, le diverse fonti dello shock inflazionistico hanno implicazioni diverse per il compito che attende le banche centrali”. Draghi però ha lanciato anche un messaggio positivo e rassicurante dall’ateneo Usa. Non sarà una sfida semplice ma le banche centrali riusciranno nel loro intento di “riportare il tasso di inflazione ai loro obiettivi”.
Meeting Bce e Fed
La settimana prossima sarà cruciale sui mercati per le riunioni delle banche centrali. In azione la Federal Reserve (Fed) e la Banca centrale europea (Bce) che si pronunceranno rispettivamente il 14 giugno e il 15 giugno sui rialzi dei tassi di interesse.
“La FED aveva preparato il terreno per l’annuncio di una pausa in occasione della riunione del 14 giugno il FOMC, mentre il giorno successivo la BCE era pronta a un ulteriore rialzo. Il recente flusso di dati sta tuttavia sollevando alcuni interrogativi”, sottolinea Gilles Moëc, capo economista di AXA Investment Managers, spiegando che “nell’Eurozona, una decelerazione dell’inflazione core superiore alle attese a maggio offre alle colombe alcuni buoni argomenti per richiedere di procedere con maggiore cautela, mentre negli Stati Uniti la significativa creazione di posti di lavoro sta mettendo in dubbio il ritmo con cui l’economia potrebbe finalmente assestarsi”.
Secondo l’esperto però i dati sono comunque coerenti con la possibilità che le due banche centrali procedano come previsto nelle loro prossime riunioni. E spiega il perchè. Da una parte, il calo dell’inflazione nell’area euro è dovuto fin troppo a fenomeni una tantum e, se da un lato continuiamo a ritenere che vi siano ulteriori prove che l’economia europea stia rallentando, dall’altro vi è ancora troppa velocità acquisita sul mercato del lavoro perché la BCE possa sentirsi rassicurata sul rischio di una seconda ondata di inflazione guidata dai salari. “Siamo tuttavia marginalmente più fiduciosi nella nostra previsione di base secondo cui sarà luglio, e non settembre, a segnare il picco dei tassi di policy per la BCE”, conclude Moëc.