L’idea boomerang di Trump: procedere a delisting società cinesi quotate a Wall Street
Dai toni – e contenuti – del presidente americano Donald Trump, si direbbe che l’intesa commerciale tra Stati Uniti e Cina non sia così vicina, nonostante l’imminente round di trattative tra le controparti, che dovrebbe partire all’inizio di ottobre.
Le ultime indiscrezioni indicano piuttosto il rischio che Trump voglia provocare una ulteriore escalation delle tensioni: stando a quanto riporta Bloomberg, infatti, l’amministrazione Usa starebbe valutando l’opzione di limitare gli investimenti dei privati americani in Cina. Nel caso in cui una tale misura venisse lanciata, si tratterebbe di una forma di controlli/restrizioni sui capitali che il governo federale imporrebbe alla platea degli investitori Usa.
Ma le opzioni allo studio non si fermano qui. Un’altra idea è quella di procedere al delisting delle società cinesi da Wall Street.
Bloomberg riporta che Trump ha dato il via libera a discutere le opzioni che, in ogni caso, necessiterebbero del suo benestare. Le indiscrezioni, rese note lo scorso venerdì, hanno avuto un effetto immediato su alcuni titoli di società cinesi scambiati a Wall Street, come Alibaba e Baidu.
DELISTING SOCIETA’ CINESI DA WALL STREET: ALLA LUNGA A SOFFRIRE SAREBBERO ANCHE USA
Tra gli analisti che hanno messo in evidenza la pericolosità di queste misure, anche Ringo Choi, responsabile della divisione Ipo Asia-Pacifico presso EY che, in un’intervista rilasciata alla Cnbc, ha fatto notare come la misura “finirebbe con il provocare danni…a tutti”.
Non solo alle società cinesi, ma anche ai mercati Usa. Questo, “perchè dIverse società si trasferirebbero a Hong Kong e, in più, potrebbero anche quotarsi nei mercati domestici come lo Star”. Choi si è riferito a tal proposito alla nuova piattaforma cinese – una sorta di Nasdaq cinese – che è stata lanciata a luglio, battezzata Science and Technology Innovation Board, o anche “STAR Market”.
Protagonista di violenti scontri che hanno minato in modo significativo la sua appetibilità, il mercato di Hong Kong – che, stando ai dati di Refinitiv, ha visto crollare i ricavi delle operazioni di Ipo di ben il 46,8% su base annua, al minimo dal 2017 – sarebbe inoltre più che disponibile ad accogliere eventuali new entry.
E in una nota diramata nella giornata di oggi, la banca di Singapore DBS ha ricordato che le aziende cinesi hanno diverse opzioni riguardo ai mercati in cui si possono quotare.
“Visto che i titoli cinesi dispongono di diverse opzioni alternative, che vanno da Londra a Hong Kong al mercato onshore in crescita più che mai, la perdita di accesso ai mercati Usa sarebbe un fattore negativo, ma non devastante“, hanno scritto in una nota gli strategist Philip Wee e Eugene Leow.
La Borsa di Shanghai è, di fatto, la seconda più grande al mondo, appena dietro Wall Street. E, vista la decisione dell’MSCI di includere diverse azioni cinesi nei principali indici azionari globali è probabile che si assisti in futuro a maggiori flussi di investimento esteri in Cina.
Intervistato sempre dalla Cnbc Ning Zhu, professore di finanza presso l’Università Tsinghua a Pechino, ha riferito tra l’altro che una doppia mossa del genere da parte degli Stati Uniti – limitare gli investimenti Usa in Cina e procedere al delisting delle società cinesi dai mercati Usa – oltre che a essere difficile da realizzare, avrebbe un impatto negativo sui mercati americani dei capitali.
Si apprende intanto, stando a un report pubblicato ad agosto e stilato dagli analisti Andrew Batson e Lance Noble della società di ricerca Gavekal Dragonomics che più di 200 società cinesi, Alibaba inclusa, hanno raccolto decine di miliardi di dollari sui mercati dei capitali Usa quotandosi a Wall Street o attraverso le ADR (American Depositary Receipts).
Tuttavia, non tutte – tra le maggiori – hanno scelto New York. Tencent, la holding dell’App di messaggistica WeChat, è quotata a Hong Kong. Xiaomi, produttore di smartphone, e Meituan-Dianping, gruppo di food delivery, si sono quotate l’anno scorso sempre a Hong Kong. E un altra alternativa sarebbe, per l’appunto, Londra.