Inflazione Usa non rallenta, grattacapo per la Fed
Brutte notizie per la Fed dal suo indicatore preferito per misurare l’inflazione. L’indice core Pce è cresciuto oltre le aspettative ad aprile, evidenziando persistenti pressioni sui prezzi nonostante le strette sui tassi effettuate dalla Fed. A questo punto, torna in discussione anche l’ipotesi di una pausa nel ciclo restrittivo, data per scontata, o quasi, fino a pochi giorni fa e una nuova stretta fra giugno e luglio diventa sempre più probabile.
Inflazione core Pce accelera ad aprile
Ad aprile, l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali, uno degli indicatori di inflazione preferiti dalla Fed, è aumentato dello 0,4% rispetto al mese precedente, contro lo 0,3% previsto dagli analisti (fonte Bloomberg) e lo 0,1% di marzo. Su base annua, la crescita è passata dal 4,2% al 4,4% superando anche in questo caso il 4,3% stimato.
L’indice core PCE, che esclude le componenti di prezzo più volatili (alimentari ed energia), è aumentato dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 4,7% da aprile 2022, superando anche le proiezioni (rispettivamente pari a 0,3% e 4,6%). A marzo questo indicatore, ritenuto da molti economisti il migliore per tracciare l’inflazione sottostante, aveva segnato un +0,3% congiunturale e un +4,6% tendenziale.
La spesa per consumi, corretta per i prezzi, è cresciuta dello 0,5% dopo un mese di marzo invariato. Si tratta dell’incremento maggiore da inizio anno e riflette una ripresa sia dei beni che dei servizi.
I dubbi della Fed
Nonostante il rallentamento dell’inflazione rispetto ai picchi dello scorso anno, il solido mercato del lavoro sta consentendo alle famiglie americane di mantenere elevata la domanda, e dunque la spesa, alimentando le pressioni al rialzo sui prezzi di beni e servizi.
Dai verbali relativi al meeting del Fomc di maggio è emerso un certo disaccordo tra i funzionari in merito alle decisioni previste per giugno. Tuttavia, i membri della banca centrale americana concordano sul fatto che l’inflazione sia ancora troppo elevata, in particolare nel settore terziario, complice l’ascesa dei salari che rischia di mantenere la crescita dei prezzi sopra il target del 2% nel prossimo futuro.
Al tempo stesso, i banchieri sono consapevoli dei rischi derivanti dallo stress nel settore del credito e dalle tensioni sul tetto del debito, elementi di incertezza che rischiano di pesare sull’economia.
I responsabili della Fed dovranno quindi decidere se proseguire con la campagna di inasprimento monetario o prendere tempo, per valutare le implicazioni di una politica monetaria più restrittiva sul sistema bancario e sull’economia in generale. In particolare, una pausa permetterebbe di ponderare con più calma gli effetti dei precedenti ritocchi al costo del denaro e gli sviluppi nell’attività di prestiti a famiglie e imprese. Dall’altra parte, i dati di oggi giustificano la tesi dei falchi della banca centrale, intenzionati ad aumentare ancora i tassi.
La view di ING
Secondo gli esperti di ING, il report odierno “porterà inevitabilmente a revisioni al rialzo delle aspettative sul Pil del secondo trimestre, poiché la spesa dei consumatori rappresenta i due terzi dell’attività economica misurata dal Pil”.
Inoltre, in caso di accordo sul tetto del debito e di un job report particolarmente “caldo” la prossima settimana (con molti nuovi impieghi, un tasso di disoccupazione ancora sui minimi e una forte crescita dei salari), dovremmo “accettare che un aumento dei tassi di interesse a giugno sembrerebbe più probabile” rispetto ad una pausa.
Tuttavia, questo potrebbe risultare in un “eccessivo inasprimento della politica monetaria che, in combinazione con standard di prestito significativamente più severi che limiteranno il flusso del credito, farà precipitare l’economia in quella che potrebbe essere una dolorosa recessione. La nostra conclusione – afferma ING – è che questo porterà a tagli dei tassi di interesse ancora maggiori più avanti nel tempo.”
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