Il mercato in tre punti: obbligazioni AT1, Federal Reserve e dati macro Usa
I mercati finanziari sono stati colpiti da una nuova bufera che sta mettendo sotto pressione il settore bancario e fino a quando non si avranno ulteriori conferme riguardo alla solidità del sistema è lecito aspettarsi che la volatilità resti su livelli elevati. In tale contesto, il team strategie di credito globale di Algebris Investments, società di gestione del risparmio, ha pubblicato le proprie riflessione nel report “Global Credit Bullets” riguardo a tre punti cruciali: obbligazioni AT1, Federal Reserve e dati macro Usa.
AT1 – L’asset class non sarà svalutata
L’azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate di Credit Suisse ha causato una settimana volatile per gli strumenti AT1. Il mercato, si legge nel report, “ha rapidamente riprezzato al ribasso l’intera asset class, mettendo sotto pressione il debito subordinato delle banche europee. Nel corso della settimana, l’indice dei CDS sui subordinati si è allargato di 60 punti base e gli AT1 delle principali banche europee hanno perso 3-6 punti percentuali. I titoli azionari trattano ora circa il 15% in meno rispetto al picco di inizio marzo”.
Secondo Algebris, “la recente dinamica dei prezzi sia ingiustificata e che l’attuale contesto di mercato rappresenti un’ottima opportunità per questa asset class. Le banche europee sono solide, liquide e ben capitalizzate. Il CET1 ratio medio delle principali banche sistemiche è pari al 14% e i liquidity coverage ratios sono in media del 160%. La svalutazione dei bond AT1 di Credit Suisse è stata possibile solo grazie a caratteristiche specifiche del prospetto informativo, peculiari del sistema bancario svizzero e non riscontrabili nei prospetti delle controparti europee. La BCE ha infatti prontamente chiarito una concezione molto chiara della gerarchia della struttura del capitale in Europa. Sia i fondamentali che il quadro giuridico indicano quindi che la reazione dei mercati è ampiamente sovradimensionata”.
Fondamentali positivi sono in netto contrasto con valutazioni in sofferenza. Gli AT1 delle principali banche europee, si legge nella nota, “offrono oggi oltre il 15% di rendimento alla call (YTC) e l’8-9% di Yield to Perpetuity. In altre parole, il mercato non si aspetta che la maggior parte delle obbligazioni subordinate venga richiamata alla prima finestra, nonostante gli elevati spread di reset. Il debito Tier 2 e il debito Senior offrono rispettivamente 220 e 115 punti base di spread, vicini ai massimi a 5 anni, nonostante elevate riserve di capitale. I titoli azionari delle banche europee scambiano, in media, al 70% del loro valore contabile”.
Nel complesso, scrive Algebris, “consideriamo il recente episodio di elevata volatilità come un fenomeno derivante dai timori relativi al sistema finanziario originati dalle banche regionali statunitensi, ma privo di reali implicazioni per le banche europee nel loro complesso. Lo stesso vale per Credit Suisse, che stava già subendo un’ondata di deflussi di depositi, esacerbata dagli sviluppi di mercato, che ha portato le autorità di regolamentazione ad intraprendere azioni decise durante lo scorso fine settimana. Le grandi banche europee sistemiche sono liquide, capitalizzate e non stanno subendo deflussi di depositi. Qualsiasi movimento di mercato al ribasso dovrebbe essere visto dagli investitori a medio termine come una grande opportunità di acquisto lungo tutta la struttura del capitale”.
Fed – Più vicina alla fine
La scorsa settimana la Fed ha aumentato i tassi di 25 punti base, portandoli nell’intervallo tra 4,75% e 5%, seguendo così la scelta rialzista effettuata anche dalla BCE nonostante le recenti turbolenze avvenute nel settore bancario.
Tuttavia, si legge nel report, “Powell ha sorpreso il mercato con un una narrativa più accomodante, facendo presagire che la fine del ciclo di rialzi sia vicina. Nella dichiarazione si legge che ‘ulteriori rialzi potrebbero essere appropriati’, un chiaro rallentamento rispetto alla precedente indicazione secondo cui saranno appropriati ulteriori rialzi’. Inoltre, Powell ha confermato che l’irrigidimento degli standard di erogazione di credito da parte delle banche regionali statunitensi probabilmente influenzerà i dati economici in futuro, e ha paragonato questo fattore all’equivalente di uno o due rialzi dei tassi d’interesse. Questo compensa i dati economici molto positivi pubblicati ad inizio febbraio, che avrebbero giustificato una posizione meno accomodante”.
Di conseguenza, scrive Algebris, “il tasso atteso dalla FED per il 2023 è stato lasciato invariato al 5,1% (contro le attese di un aumento), segnalando un solo altro rialzo da qui in poi e nessun calo fino alla fine dell’anno. Il tasso atteso per il 2024 è stato rivisto al rialzo dello 0,2% al 4,3%, implicando così solo 80 punti base di tagli l’anno prossimo. I mercati vedono il 50% di possibilità di un ultimo rialzo a maggio, ma prevedono poi tagli per 75 pb dal picco di maggio alla riunione di dicembre”.
Dati Usa – Le condizioni del credito puntano ad un rallentamento
Secondo Algebris, “l’inasprimento delle condizioni finanziarie avrà un ruolo cruciale nel rallentare l’economia statunitense più velocemente del previsto e aumenterà le probabilità di un ‘hard landing’. Il 38% di tutti i prestiti in essere negli Stati Uniti sono emessi da banche di piccole e medie dimensioni, mentre per i prestiti al consumo la percentuale è del 48% e per gli immobili commerciali addirittura del 67%. Mentre le banche regionali statunitensi aumentano la liquidità per assicurarsi di avere abbastanza riserve liquide per far fronte alle richieste di deposito, gli standard erogazione di prestiti si sono fortemente irrigiditi durante la notte e quindi hanno prodotto l’equivalente di ‘un rialzo, o due’, come stimato da Powell la scorsa settimana”.
Le curve dei rendimenti statunitensi, si legge nel report, “sono diventate molto più ripide a causa del rapido calo dei rendimenti a 2 anni, come di solito accade quando si entra in recessione e i mercati si aspettano tagli dei tassi a breve. Il differenziale di rendimento dei Treasury americani a 10 e 2 anni è balzato dai minimi storici di -110 pb agli attuali -46 pb, mentre le previsioni di Bloomberg sulla probabilità di recessione degli Stati Uniti sono rimaste invariate al 60% circa per l’anno a venire”.
Le proiezioni di consenso stimano una crescita trimestrale del Pil pari a -0,4% nel secondo trimestre del 2023 e a -0,1% nel terzo, che corrisponderebbe alla definizione di recessione tecnica, ma non si avvicina neanche lontanamente allo scenario pessimistico di ‘hard landing’ attualmente prezzato. La Fed ha rivisto al ribasso le stime di crescita annuale del Pil dello 0,1% allo 0,4% nel 2023 e dello 0,4% all’1,2% nel 2024, il che è in linea con un rallentamento della crescita, ma non con un ‘hard landing’. “I prezzi di mercato riflettano uno scenario troppo estremo, in particolare per quanto riguarda i tagli della Fed a partire dalla riunione di giugno” conclude Algebris.