Goldman Sachs sul forex: yen, valuta più sicura tra quelle rifugio. Occhio a relazione con petrolio, Treasuries e azionario
“Lo yen è l’asset rifugio numero uno tra le valute rifugio, mentre il franco svizzero e il dollaro Usa competono per il secondo posto”. E’ quanto hanno scritto gli economisti di Goldman Sachs, guidati da Kevin Daly, in un report appena pubblicato.
Gli esperti hanno esaminato le fluttuazioni giornaliere e mensili di 28 valute di paesi avanzati ed economie emergenti, relative ai cinque anni intercorsi tra il 2007 e il 2011 e il 2012 e il 2016. Risultato: lo yen ha mostrato la relazione inversamente proporzionale più marcata con l’azionario globale, i prezzi del petrolio scambiati a New York e i rendimenti dei Treasuries decennali.
Goldman Sachs ha anche affermato che, “dall’altro lato dello spettro, ci sono diverse valute dei mercati emergenti che rivaleggiano tra di loro per il titolo di moneta più ‘risk-on’“.
Dal report emergono anche altri spunti relativi al mercato del forex:
- Le valute maggiormente risk-on sono il peso messicano, il rand sudafricano e il dollaro australiano.
- Il balzo dei rendimenti dei Treasuries è la chiave per capire il modo in cui risponde il forex: di norma l’aumento dei tassi scatenato dal miglioramento del sentiment tende a sostenere le valute risk-on, mentre un incremento “puro” motivato, per esempio, da uno choc inflazionistico, è negativo.
- In generale la relazione tra i tassi di cambio e i ritorni dell’azionario (considerando per azionario l’indice globale MSCI All Country World Index) si è rilevata molto più forte su base giornaliera che mensile. Il contrario si è dimostrato vero nel rapporto con il petrolio WTI.
- Quando i prezzi del petrolio salgono, le valute di paesi esportatori come Canada, Colombia e Russia, tendono ad outperformare; mentre lo yen, il dollaro e il franco tendono a sottoperformare.
Nel report si legge anche che le correlazioni tra le valute e altri asset (azionario globale, tassi decennali sui Treasuries Usa, petrolio WTI) “appaiono relativamente stabili nel corso del tempo, con l’eccezione notevole di alcuni rapporti di cambio con il dollaro Usa”.
Per esempio, la correlazione negativa tra il dollaro e i prezzi del petrolio è stata più debole nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016 rispetto a quello precedente (2007-2011), il che significa che, praticamente un eventuale rialzo-ribasso del dollaro si è tradotto in questo arco temporale in un calo-aumento delle quotazioni del contratto WTI a ritmi inferiori rispetto al periodo precedente.
Tale fenomeno, hanno scritto gli economisti di Goldman Sachs, potrebbe suggerire che la precedente relazione tra i due asset era stata insolitamente forte immediatamente dopo la crisi finanziaria del 2008; ma potrebbe essere spiegato anche con la maggiore autosufficienza degli Usa nell’approvvigionamento del petrolio (maggiore offerta, dunque prezzi del petrolio meno condizionati dal dollaro).