Goldman Sachs presenta paradosso Usa in vista Fed: ‘disoccupazione troppo bassa, pericolo di surriscaldamento’
Timori per il rallentamento dell’economia globale o made in Usa? Sicuramente non li ha l’economista Jan Hatzius di Goldman Sachs che, in un’intervista rilasciata alla Cnbc afferma che, almeno nel caso dell’America, è necessario che l’economia rallenti, per evitare un ‘pericoloso surriscaldamento’. Proprio per evitare il rischio bolla, spiega l’esperto, la Federal Reserve sta prendendo sul serio la minaccia dell’inflazione, tanto da apprestarsi ad alzare i tassi di interesse più di quanto il mercato scommetta.
La prosperità del mercato del lavoro, continua l’economista, fa parte di questo continuo boom economico che, se non frenato, alla fine provocherà più di un problema. A conferma dei timori di Hatzius sono i numeri arrivati, venerdì scorso, con la pubblicazione del report occupazionale Usa: numeri che hanno messo in evidenza come, nel mese di ottobre, siano stati creati 250.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione rimasto inchiodato al valore più basso in 49 anni, al 3,7%. Il report ha indicato anche un balzo dei salari orari pari a +3,1% su base annua, al ritmo più forte dalla ripresa dalla Grande Recessione.
Il paradosso è che questi numeri potrebbero essere fin troppo buoni.
La Federal Reserve, viene fatto notare, ritiene che il tasso di disoccupazione naturale sia pari al 4,5%: una valutazione che, secondo il capo economista di Goldman, è “ampiamente ragionevole”. E il punto è che la disoccupazione è destinata secondo Goldman Sachs a scendere ancora di più, fino al 3% entro l’inizio del 2020, a fronte di una crescita dei salari destinata a balzare tra il 3,25% e il 3,5% nel corso del prossimo anno.
L’inflazione, insomma, ha rialzato la testa con decisione, “va verso un’ impennata significativa”, fino al 2,3%, dunque oltre il target del 2% della Fed.
Si tratta sempre di un livello “che rientra nella zona comfort della Fed, probabilmente – aggiunge Hatzius – Ma intravediamo rischi a queste stime rivolti verso un aumento più forte”.
La minaccia di rialzi ancora più solidi per le pressioni inflazionistiche arriva sia dal mercato del lavoro che dalla guerra commerciale, nello specifico dai dazi doganali imposti, che stanno facendo salire i costi delle importazioni.
“Ci stiamo avvicinando a livelli di un mercato del lavoro ‘stretto’ a cui abbiamo assistito di rado nella storia del Dopoguerra – dice ancora l’economista – e la nostra analisi dei dati relativi alle città suggerisce che questi numeri così estremi di norma tendono a far salire l’inflazione in modo notevole, non solo lievemente, ma verso livelli più alti”.
Di conseguenza, la Fed – la riunione del Fomc è prevista questa settimana nei giorni di domani e dopodomani, ma si prevede un nulla di fatto in concomitanza con le elezioni midterm del Congresso Usa – alzerà i tassi molto più di quanto scontato.
Goldman Sachs prevede altre cinque strette monetarie fino all’inizio del 2020 di un quarto di punto percentuale, due in più rispetto a quanto i trader stanno scontando. In particolare, i mercati stanno scommettendo su un rialzo dei tassi a dicembre (dall’attuale range compreso tra il 2% e il 2,25%) e su altre due strette nel 2019.