Fed, Trump torna all’attacco: ‘E’ la mia minaccia più grande’. WSJ: ‘così rischia di scatenare i falchi’
Dopo aver affermato che, a suo avviso, la Fed sta impazzendo, Donald Trump rincara nuovamente la dose, definendo la Banca centrale americana la sua “minaccia più grande”.
Intervistato da Fox Business, il presidente degli Stati Uniti è tornato così all’attacco:
“La Fed sta alzando i tassi di interesse troppo velocemente. E (Jerome Powell) è indipendente, dunque non parlo con lui. Ma non sono contento di quello che sta facendo, perchè lo sta facendo troppo velocemente. E perchè, se guardate agli ultimi numeri sull’inflazione, si tratta di valori molto bassi”.
Solo pochi giorni fa, Trump aveva detto che la Fed “is going loco”, ovvero che stava impazzendo. Sebbene, per ora, sembra che la tensione sia destinata a finire qui – nessuna intenzione di licenziare Powell, ha detto Trump, che si è definito semplicemente ‘non contento’ o deluso -, il Wall Street Journal scrive come le continue critiche contro una banca centrale la cui indipendenza dovrebbe invece essere salvaguardata potrebbero rendere ancora più falco la Federal Reserve.
Ovvero, ironia della sorte, Powell & Co. potrebbero decidere di avviare strette monetarie più aggressive in risposta alle ripetute polemiche di Trump. Non per dispetto, ma piuttosto per dimostrare ai mercati che la loro indipendenza non è in pericolo, e che soprattutto che non c’è alcuna intenzione di sottostare ai diktat della Casa Bianca.
Così come ha commentato al WSJ Alan Blinder, ex vice presidente della Fed dal 1994 al 1996, “molti esponenti del Fomc non vorranno leggere sui giornali che si sono arresi a Trump”.
Allo stesso tempo, scrive il quotidiano finanziario, se gli attacchi continueranno a essere sostenuti fino a macchiare la credibilità della Fed, e dunque la sua efficacia, i funzionari potrebbero diventare più riluttanti ad alzare i tassi, soprattutto se dal fronte macro arrivassero segnali contrastati.
Così teme Derek Tang, economista presso LH Meyer, società specializzata nella formulazione di previsioni economiche:
“La reazione recente di Trump è notevole in quanto è implacabile. Powell potrebbe arrivare a credere che il costo di ulteriori rialzi dei tassi potrebbe essere non solo economico ma anche politico”.
Prima di Trump, l’ultimo presidente che ha chiesto pubblicamente alla Fed di abbassare i tassi di interesse è stato George H. Bush (George padre). Bush arrivò al punto di accusare l’ex numero uno della Banca centrale Alan Greenspan, considerandolo in parte responsabile della propria sconfitta alle elezioni del 1992, per non aver mantenuto bassi i tassi di interesse dopo la recessione degli anni 1990-1991″.
La Fed ha già alzato i tassi di interesse tre volte quest’anno, e si appresta a un nuovo intervento a dicembre. Tre ulteriori strette monetarie sono previste nel 2019, e una nel 2020.
Nel mese di settembre l’indice dei prezzi al consumo, termometro fondamentale per monitorare il trend dell’inflazione, è salito negli Usa meno delle attese per il secondo mese consecutivo.
Su base annua, il rialzo è stato del 2,3%, al ritmo più basso dallo scorso febbraio. All’inizio del mese, lo stesso Powell aveva detto di intravedere pochi segnali che potessero indicare un surriscaldamento dell’economia e, contestualmente, si era difeso dall’accusa di star alzando i tassi troppo velocemente.
Il parametro preferito dal Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – per monitorare l’inflazione, l’indice delle spese personali, è salito ad agosto del 2,2% su base annua, al di sopra del target del 2% della Fed.