Fed si spacca sui tassi? Il grafico della settimana
E la Fed di Jerome Powell si spacca sui tassi. Grande attesa sui mercati finanziari mondiali per la riunione del Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale americana, la prossima settimana, che culminerà mercoledì prossimo 1° febbraio con l’annuncio sull’ennesima mossa anti-inflazione.
Mentre gli economisti e gli strategist snocciolano le loro previsioni, la Federal Reserve non sembra dare prova di grande fermezza. Tutt’altro.
A farlo notare l’ex economista della stessa istituzione di Washington, Ken Kutter, che ha lavorato alla Fed per più di 10 anni, e che ha riferito di non riuscire a ricordare un momento in cui gli esponenti del Fomc siano stati così in disaccordo, “riguardo alla direzione da dare alla politica monetaria, affinché sia appropriata”.
Kutter indica lo stesso dot plot dell’ultimo atto della Fed del 2022: le previsioni dei vari banchieri per i prossimi anni variano da tassi sui fed funds a quasi il 3% fino a oltre il 5%.
D’altronde, come riporta un articolo di Marketplace, giovedì scorso è stata la stessa vicepresidente della Fed Lael Brainard ad ammettere che c’è “un outlook ampio” su alcuni aspetti dell’inflazione made in Usa.
Che l’inflazione degli Stati Uniti stia rallentando è evidente, come ha confermato la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo CPI di dicembre.
Il CPI headline è salito il mese scorso del 6,5% su base annua, rispetto al +7,1% del mese precedente.
Il dato è stato pressocché in linea con le attese, visto che gli analisti intervistati da Bloomberg avevano previsto un indice dei prezzi al consumo CPI headline in crescita del 6,6% su base annua.
Su base mensile, l’inflazione è scesa dello 0,1%, più del trend piatto atteso. A rallentare su base annua è stata anche la crescita dell’inflazione core, ovvero l’inflazione depurata dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici, che ha rallentato il passo dal 6% al 5,7%, come da attese.
Va detto tuttavia che l’inflazione CPI core è salita su base mensile dello 0,3%, come da attese, ma in accelerazione rispetto al +0,2% m/m di novembre.
Sul fronte delle colombe, vanno menzionate le dichiarazioni sicuramente più dovish rilasciate dal presidente della Fed di Philadelphia, che ha detto proprio durante l’Inflation Day di ritenere che “le strette monetarie da 75 punti base sono sicuramente alle nostre spalle“.
Ulteriori indicazioni sul dietrofront dell’inflazione sono arrivate anche con la diffusione dell’altro parametro cruciale che monitora il trend dei prezzi, ovvero con l’indice dei prezzi alla produzione PPI.
Tuttavia, vale la pena menzionare il commento che l’economista Peter Schiff ha rilasciato nel commentare l’altro dato, quello dell’indice dei prezzi alle importazioni: parole niente affatto confortanti.
Non stupisce insomma il fatto che la Fed di Jerome Powell sia divisa.
Per Derek Tang, economista di LH Meyer, il disaccordo presente nel Fomc è anche salutare. E tra l’altro sempre Tang pone un interrogativo, presentando la domanda che gli esponenti della banca centrale Usa dovrebbero piuttosto porsi.
“Vale davvero la pena indebolire ulteriormente l’economia per far ritornare l’inflazione al livello (target) del 2%, quando il mercato del lavoro sta rallentando e il rischio è che la gente venga licenziata?“.
Evidentemente questa domanda la Fed di Jerome Powell se la sta già facendo, visto che, a fronte di alcune voci della Fed che chiedono un’altra stretta di 50 punti base nella prossima riunione del Fomc, ci sono diversi che premono per una stretta inferiore, pari a 25 punti base.
Si parla perfino di pausa durante la primavera , mentre gli analisti di Citi rivedono il loro outlook .
Tassi Fed, DWS presenta il grafico della settimana
Intanto DWS pubblica il commento “Quando ha senso (non) lottare contro la Fed” insieme al grafico della settimana:
Così gli analisti:
“L’anno scorso gli operatori di mercato si sono dimostrati corretti nel prevedere i tassi di interesse statunitensi. Paradossalmente, questo rende meno probabile una previsione esatta nel 2023“.
Il motivo?
“Una delle caratteristiche intriganti della mente umana – spiegano da DWS – è la tendenza a ‘trovare schemi significativi sia nei dati che nel rumore di fondo’. Ad esempio, prendiamo il nostro grafico della settimana, che contiene alcune delle informazioni più significative ma anche senza senso su come si svolgerà il 2023. La linea mostra le aspettative del mercato sul livello del tasso dei fondi federali alla fine dello scorso anno. La linea a gradini contrasta con le previsioni degli stessi funzionari della Federal Reserve (Fed) degli Stati Uniti, secondo la mediana dei loro cosiddetti dot plot”.
Gli analisti vanno avanti:
“È interessante notare che per gran parte del 2022 i mercati dei futures sembrano aver fatto un lavoro migliore degli stessi funzionari della Fed nel prevedere la direzione che avrebbe preso la politica monetaria lo scorso anno. Questa situazione è particolarmente interessante dato che i membri del FOMC possono aggiornare i loro punti solo ogni tre mesi circa, mentre le aspettative del mercato cambiano quotidianamente. Un ulteriore elemento di indeterminatezza è dato dal fatto che mentre i mercati osservano la Fed, i funzionari della Fed ovviamente osservano anche i futures sui fed funds. La pubblicazione dei dot plot ha probabilmente rafforzato questo feedback loop dal 2012, rendendo potenzialmente meno affidabili entrambe le serie di previsioni”.
Detto questo, “molti operatori di mercato sembrano aver optato per una spiegazione molto più semplice e appaiono sempre più sicuri di poter superare la Fed anche nel 2023. I mercati dei futures attualmente quotano solo il 4,42%, per il contratto di dicembre 2023. Al contrario, i funzionari della Fed prevedono un aumento dei tassi sui federal funds oltre il 5%”.
Ciò indica che, “rispetto ai funzionari della Fed, gli operatori di mercato si sono dimostrati insolitamente precisi nel prevedere i tassi di interesse statunitensi per tutto il 2022″.
DWS precisa:
“Per quanto possa valere, la nostra opinione è più in linea con quella della Fed. Come sottolinea Christian Scherrmann, economista statunitense di DWS, un mercato del lavoro forte potrebbe addirittura indurre la Fed a mantenere i tassi più alti più a lungo. A parte questo, l’anno scorso è stato piuttosto insolito in quanto gli operatori di mercato si sono dimostrati relativamente preveggenti. Come hanno dimostrato innumerevoli studi empirici nel corso degli anni, i mercati dei futures non sono stati generalmente molto bravi a prevedere le decisioni della Fed, in particolare quelle a quasi un anno di distanza, anziché a poche settimane o mesi”.
“Inoltre – aggiunge la divisione di ricerca del gruppo di asset management tedesco -, gli errori tendono ad essere relativamente grandi quando il tasso dei fondi cambia direzione o quando cambia rapidamente in un breve periodo”, come afferma uno dei primi studi, tra l’altro condotto da un economista della Fed.
DWSW conclude ricordando “il vecchio mantra di Wall Street, ‘Non combattere la Fed’.
“Questo mantra si è storicamente rivelato corretto abbastanza spesso da diventare saggezza convenzionale. Dopotutto, i cambiamenti improvvisi di politica monetaria di solito riflettono nuove informazioni che, in generale, hanno almeno la stessa probabilità di cogliere di sorpresa i mercati e di mettere in difficoltà i responsabili delle politiche monetarie. A volte, però, questi mantra si rivelano sbagliati, e allora la prudenza diventa particolarmente importante”.
D’altronde, “è nella natura umana sopravvalutare il proprio giudizio e sottovalutare la casualità, soprattutto quando si ha appena avuto la fortuna di avere ragione. Almeno dal punto di vista della finanza comportamentale, l’attuale fiducia in se stessi di molti partecipanti al mercato potrebbe riflettere principalmente questo bias di ricorrenza”.
Dunque, “anche solo per questo motivo, è improbabile che l’attuale saggezza collettiva si riveli particolarmente fondata“, conclude la nota.