Fed sforna altro rialzo tassi di 75 pb con nuova mossa anti-inflazione. Le parole di Powell scaldano i mercati: ma è un abbaglio?
La Fed di Jerome Powell dà ai mercati ciò che prevedevano: un rialzo dei tassi sui fed funds di 75 punti base, per la seconda volta consecutiva, a conferma della sua lotta contro l’inflazione galoppante – ancora – negli Stati Uniti
Powell indora tuttavia la pillola in modo inatteso, mostrando un volto un po’ più dovish, o forse meglio dire meno hawkish, rispetto alle volte precedenti, in cui a spiccare era la sua determinazione a sfiammare l’inflazione No Matter What, anche a costo di far scivolare l’economia americana in recessione. Stavolta, invece, dice: “Con la politica monetaria che diventa più restrittiva, diventerà probabilmente appropriato rallentare il ritmo dei rialzi dei tassi, mentre valutiamo in che modo i nostri aggiustamenti cumulativi stanno condizionando l’economia e l’inflazione”.
Praticamente, Jerome Powell lascia intendere che la prossima mossa di politica monetaria, in calendario nel mese di settembre, dipenderà dai dati macro.
Non solo: a suo avviso l’economia Usa non è in recessione: “Pensate a cosa sia una recessione. E’ una contrazione diffusa che colpisce diverse industrie, e che dura per più di un paio di mesi. E non mi sembra che sia così, in questo momento – ha detto Powell – Il vero motivo è rappresentato dal mercato del lavoro, che si è confermato un segnale così forte di solidità economica da mettere in discussione i dati sul Pil”.
Wall Street e Fed: fioccano i buy, Nasdaq +4%
Ed è all’interno dello stesso comunicato con cui la Fed annuncia l’ennesima stretta monetaria che si legge che l’economia americana non è in recessione, dal momento che “ci sono semplicemente troppi settori che stanno performando anche troppo bene”– L’effetto su Wall Street – dove il chiodo fisso, nell’ultimo periodo, era più quello della recessione che dell’inflazione – è decisamente positivo: gli indici schizzano al rialzo, ai massimi intraday, per poi chiudere con un rally che, complice l’effetto Microsoft e Alphabet, interessa soprattutto il Nasdaq:
Il Dow Jones Industrial Average balza di 436,05 punti, o di quasi +1,4%, a 32.197,59; lo S&P 500 guadagna il 2,62% a 4.023,61. Il Nasdaq Composite vola del 4,06% a 12.032,42.
Torna la propensione al rischio, i Treasuries vengono venduti e i rendimenti riportano un forte aumento: quelli decennali avanzano di 6 punti base al 2,7977%; quelli a 30 anni anche salgono di 6 punti base al 3,0703%; quelli a due anni salgono oltre la soglia del 3%, a conferma del fenomeno dell’inversione della curva dei rendimenti.
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Fed: E se Wall Street avesse preso un abbaglio?
Ma Wall Street ha davvero capito il messaggio di Powell? Per alcuni economisti, intervistati da Bloomberg, la risposta è no. I mercati e gli investitori avrebbero preso un abbaglio, vedendo in Powell un lato dovish che in realtà, a loro avviso, non ci sarebbe.
Con il suo secondo rialzo consecutivo di 75 punti base, Powell & Co hanno portato i tassi sui fed funds Usa nel nuovo range compreso tra il 2,25% e il 2,5%, al record dalla fine del 2018:
insieme, le strette monetarie di giugno e di luglio rappresentano i rialzi consecutivi dei tassi più consistenti, da quando la Fed ha iniziato a utilizzare i tassi overnight alla stregua di principale strumento di politica monetaria, all’inizio degli anni ’90. “I mercati hanno prima reagito e poi si sono posti delle domande – ha commentato Neil Dutta, responsabile della divisione di ricerca economica Usa presso Renaissance Macro Research LLC – Non credo che l’inflazione coopererà in un modo che renderà eventuali tagli plausibili. Powell ha detto ripetutamente che l’economia deve rallentare il passo al fine di centrale il target (della banca centrale Usa), dell’inflazione. Una recessione modesta probabilmente non basterà. (la Fed) Dovrà fare di più”, ovvero dovrà portare l’economia a fare peggio.
Roberto Perli e Benson Durham di Piper Sandler hanno commentato la mossa della Fed, facendo notare che il balzo delle azioni e il calo più forte dei tassi a breve rispetto alla flessione dei tassi di lungo termine rappresentano “la classica reazione di mercato che ci si aspetta se le probabilità di tagli ai tassi sono aumentate o se il loro timing è stato anticipato“.
Ma il punto è che i commenti di Powell “non hanno rispecchiato un presidente della Fed che si sta dirigendo verso un approccio dovish”.
Fed, Morgan Stanley lancia l’alert ‘trappola’
Ancora più netta la posizione di Mike Wilson, responsabile strategist e investimenti della divisione sull’azionario Usa di Morgan Stanley, che ha bollato l’euforia andata in scena a Wall Street come prematura e problematica:
“Il mercato tende a segnare sempre un rally quando la Fed finisce di alzare i tassi, almeno fino a quando non inizia la recessione. Ed è improbabile che stavolta passi un arco di tempo piuttosto lungo tra il momento in cui la Fed finirà di alzare i tassi e l’arrivo di una recessione – ha detto Wilson, in un intervento alla trasmissione della CNBC “Fast Money” – Alla fine, questa sarà una trappola”.
Per Wilson, le minacce più pressanti sui mercati sono rappresentate dagli effetti che il rallentamento dell’economia avrà sugli utili della corporate America e il rischio che la Fed esageri nel rialzo dei tassi. L’esperto ha fissato un target price per l’indice S&P 500 a 3.900 punti per la fine dell’anno, tra i target price più bassi sfornati a Wall Street, che implica un calo pari a -3% rispetto alla chiusura dell’indice di ieri e una flessione del 19% rispetto al valore massimo di chiusura testato a gennaio. Il punto è che gli ultimi dati sull’inflazione e anche sul mercato del lavoro Usa spingerebbero la Fed di Powell a mostrare il suo volto più hawkish.
Nel mese di giugno, l’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo ha segnato una crescita, su base mensile, dell’1,3%, superiore alle attese di un rialzo mensile pari a +1,1% e oltre l’aumento precedente di maggio, pari a +1%. La componente core, ovvero quella depurata dalle componenti più volatili rappresentata dai prezzi dei beni energetici e alimentari, è aumentata dello 0,7% su base mensile, più del +0,6% atteso e oltre anche il +0,6% precedente.
Su base annua, l’inflazione è volata del 9,1%, al nuovo record di sempre, ben oltre il +8,6% previsto e il +8,3% precedente. L’inflazione core è aumentata su base annua del 5,9%, a un ritmo inferiore rispetto al +6% precedente, ma anche in questo caso più delle attese. Immediata la reazione di alcuni economisti, come quelli di Nomura, che hanno reagito annunciando di prevedere una stretta monetaria fino a +100 punti base nella riunione del Fomc che prenderà il via domani.
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I tassi sui fed funds su cui agisce la Federal Reserve, va ricordato, hanno un impatto diretto sui prestiti che le banche si concedono nel breve termine, ma condizionano anche diversi prodotti al consumo, come i mutui, i prestiti per l’acquisto di auto e le carte di credito.
Fed e rialzo tassi, il commento di Global X
Così commenta quanto annunciato ieri dalla banca centrale americana Morgane Delledonne, Head of Investment Strategy Europa di Global X:
“La Fed ha aumentato i tassi di interesse di 75 punti base – come ampiamente previsto – ma è diventata più cauta rimuovendo la forward guidance. I mercati prevedono ora un ritmo di inasprimento meno aggressivo per la seconda metà dell’anno. La curva dei Treasury USA si è appiattita, grazie al rally della parte a breve termine“. A questo punto, sottolinea Delle donne, “vediamo maggiori possibilità di una sorpresa dovish nel corso della seconda metà dell’anno, soprattutto se il contesto sarà quello di una frenata dell’economia, di un basso sentiment delle imprese, di indicazioni contrastanti dalla stagione degli utili e di un rallentamento globale”.
“Nel complesso – completa il responsabile della divisione di strategia degli investimenti in Europa di Global X – il dollaro USA dovrebbe rimanere forte rispetto all’euro, ma ci si può aspettare una minore divergenza tra la Fed e la BCE. Entrambe non forniranno più una forward guidance ma seguiranno i dati. È probabile che si assista a un soft landing negli Stati Uniti, mentre l’Europa deve affrontare venti contrari più forti sul fronte dell’energia che fanno pensare a una recessione più netta forse prima della fine dell’anno”.
Fed-Day: rialzi tassi Treasuries e dollaro giù
Così gli analisti di Mps Capital Services nel loro Daily Market Strategy:
“Pur ribadendo l’impegno nel contrastare l’inflazione, anticipando che nella riunione del 21 settembre potrebbe esserci un altro rialzo significativo dei tassi, è stato indicato che la Fed rallenterà il ritmo dei rialzi ad un certo punto, senza fornire una guidance a lungo termine (rimandando quindi alle prossime proiezioni economiche che saranno aggiornate a settembre) – si legge nel report – Inoltre, poichè la Fed riconosce che l’economia si è indebolita recentemente (pur non essendo in recessione e con il mercato del lavoro che resta l’unica nota positiva), Powell ha esplicitamente segnalato che l’entità del rialzo a settembre dipenderà dai prossimi dati macro. In sintesi, il messaggio arrivato al mercato è stato quello di un’incertezza sulla forza dell’economia che sta emergendo all’interno del board, con gli operatori che hanno iniziato a ridimensionare le aspettative per i prossimi rialzi. Il mercato del lavoro diventa, quindi, oltre all’inflazione, la variabile da monitorare nel breve termine. Saranno anche da seguire i prossimi discorsi di membri Fed attesi già la prossima settimana per avere ulteriori opinioni a riguardo (sono già programmati i discorsi di Bullard, Evans e Mester)“.
Sempre Mps Capital Services, riguardo al trend dei Treasuries, fa notare nella sua nota odierna che “le parole di Powell ieri hanno portato ad un calo dei tassi sulla parte a breve/medio della curva governativa USA, a fronte di un lieve rialzo di quello a lunga, con conseguente steepening che è risultato particolarmente evidente sul
Sempre le parole di Powell “hanno portato ad un deprezzamento quasi generalizzato del biglietto verde, con l’EurUsd risalito nuovamente sopra 1,02 (la prima resistenza da monitorare resta ad 1,0350). Le migliori valute in assoluto sono state, ancora una volta, la maggior parte delle commodity currency grazie al rimbalzo delle materie prime”.
Fed-Day, IG Italia: tassi al 4% entro fine anno
Un commento sul Fed-Day arriva anche da Federico Vetrella, Market Strategist di IG Italia:
“La Federal Reserve ha deciso per un aumento dei tassi di interesse di 75 punti base, quindi nella forchetta del 2,25%-2,50%, in linea con le attese del consensus. La mossa della banca centrale statunitense ha sospinto violentemente al rialzo i mercati. Il NASDAQ ha guadagnato il 4,1% (il maggiore guadagno giornaliero in due anni) mentre l’S&P 500 è salito del 2,6%. In realtà l’euforia è stata data più dalle rassicurazioni del governatore della FED, Jerome Powell, che ha fatto intendere che in futuro si potrebbe cominciare a diminuire l’aumento dei tassi di interesse, anche se molto dipenderà dai prossimi dati macroeconomici sulla scia del suo approccio ‘data driven’. Nonostante ciò, il governatore ha fatto notare che nella riunione di settembre potrebbe esserci un ultimo rialzo elevato (quindi un altro 75 bps), sempre che le condizioni macro lo consentano. Infatti, la Federal Reserve vuole evitare di portare l’economia americana sull’orlo di una recessione da cui sarebbe molto difficile uscire stanti le innumerevoli difficoltà dello scenario macroeconomico globale”.
Sulla reazione del forex, Vetrella ha messo in evidenza che, “alla notizia del rialzo dello 0,75%, la coppia EUR/USD sale passando dal livello di 1,013 fino ad un massimo intraday di 1,023 – massimo dal 26 luglio – per poi ritracciare leggermente fino a 1,019. Sembra che – l’inaspettato – movimento al rialzo da parte dell’eurodollaro sia stato dettato dalla chiusura di numerose posizioni lunghe da parte di molti fondi speculativi sul dollaro. Focus anche sulla reazione del cambio USD/JPY: “Anche contro la moneta nipponica il dollaro perde terreno spinto dalla chiusura delle posizioni di lungo periodo da parte degli operatori finanziari che spingono la coppia valutaria USD/JPY dal livello di 137 yen per dollaro fino ad un minimo di 135, toccato l’ultima volta il 22 luglio”.
In generale, per quanto concerne gli effetti sui mercati, il market strategist di IG Italia riassume la situazione nel post Fed:
“Come già anticipato, i mercati sembra che abbiano ormai digerito favorevolmente l’aumento dei tassi di interesse e stiano ora scontando una rinormalizzazione delle condizioni macroeconomiche. La sicurezza delle parole di Powell, che intende riportare le pressioni inflazionistiche fino al target del 2% a/a, sta aumentando la fiducia degli investitori verso le mosse della Federal Reserve. Il USD/JPY sale e tocca i massimi del 22 luglio passando dai 12.382 punti ai 12.666 punti (+2,28%) mentre lo S&P 500 schizza dal supporto di 3967 punti fino a toccare un picco intraday di 4040 punti, il massimo dal 10 giugno. Non ultimo, i mercati sono sostenuti anche dai risultati delle trimestrali statunitensi che, anche se in alcuni casi hanno deluso le aspettative, mostrano una forte solidità sull’outlook futuro che dà rassicurazione su una tenuta dell’economia nel medio termine”. Di seguito le previsioni di IG Italia: “La Fed rimane dunque ancorata alla sua missione di frenare le pressioni inflazionistiche – ai massimi da quattro decenni – senza però compromettere la crescita della surriscaldata economia statunitense che continua a mostrare livelli di disoccupazione molto bassi (3,6%). Per questi motivi crediamo che la banca centrale statunitense possa raggiungere un picco nel rialzo dei tassi di interesse durante la riunione di settembre per poi cominciare – gradualmente – a ridurre le pressioni sull’economia così da scongiurare una possibile recessione. In conclusione, prevediamo che i tassi possano raggiungere un livello intorno al 4% verso la fine dell’anno con una graduale riduzione dell’intensità dei rialzi che potrebbero diminuire sostanzialmente nel primo trimestre 2023″