Fed-Day alle porte tra alert inflazione e timori recessione: rialzo tassi monstre o prevarrà paura hard landing?
E dopo il BCE-Day, questa settimana toccherà alla Fed di Jerome Powell annunciare la propria mossa anti-inflazione, dunque il prossimo rialzo dei tassi.
Il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, si riunirà domani, per annunciare poi la propria decisione dopodomani, mercoledì 27 luglio: l’ultima volta, alla metà giugno, Powell & Co hanno alzato i tassi di 75 punti base, come scommesso dai mercati, al nuovo range compreso tra l’1,5% e l’1,75%, valore record dal periodo precedente l’esplosione della pandemia Covid-19.
La stretta monetaria è stata la più forte dal 1994, portando alcuni a parlare perfino di Volcker shock , in un contesto in cui è tutto il mondo spaventato dall’inflazione e, di conseguenza, dagli effetti che i rialzi dei tassi tesi a fronteggiare le sue impennate finiscano per provocare un brusco rallentamento dell’economia, peggio ancora un hard landing e dunque una recessione.
Non per niente Leo Grohowski, chief investment officer presso BNY Mellon Wealth Management, commenta in una intervista rilasciata alla Cnbc che “ovviamente un rialzo dei tassi di 75 punti base è dato già per scontato dai mercati” (il dubbio, piuttosto, è se la stretta monetaria sarà di ben 100 punti base. “Credo che l’interrogativo sia cosa accadrà a settembre. Se la Fed continuerà a confermarsi restrittiva per troppo tempo, allora dovremo aumentare la nostra probabilità di recessione che, al momento, è pari al 60%, nell’arco dei prossimi 12 mesi”.
Le aspettative dei mercati sono di una stretta monetaria, stando al trend dei futures sui fed funds, di 75 punti base, con una probabilità pari al 79%.
Erik Weisman, Chief Economist e Portfolio Manager e Benoit Anne, Director – Investment Solutions Group, presso MFS IM, tratteggiano un quadro della situazione economica americana in vista della riunione della FED di questa settimana nella nota “Vista dall’alto – Nubi grigie all’orizzonte per l’economia statunitense”.
“Non è ancora chiaro se l’economia statunitense riuscirà ad evitare un atterraggio duro. Riteniamo che le probabilità di recessione siano aumentate notevolmente, sulla scia dei timori per la minaccia di un eccessivo inasprimento monetario da parte della Federal Reserve statunitense”.
Weisan si chiede quali possano essere le “implicazioni per i mercati obbligazionari”, spiegando che, “a fronte di uno scenario di recessione sempre più verosimile, la tesi a favore di un netto sottopeso di duration si è indebolita. La probabilità che i tassi a lungo termine salgano di molto rispetto ai livelli attuali è a nostro avviso diminuita. Tuttavia, i tassi sul tratto a breve della curva potrebbero rimanere sensibili a un’inflazione persistentemente elevata, a un mercato del lavoro robusto e a un orientamento restrittivo della Fed, con il rischio di ulteriori aumenti dei tassi a breve. Se i fondamentali macroeconomici continueranno a deteriorarsi e si verificherà una recessione, prevediamo un ampliamento degli spread creditizi, il che renderà necessarie un’attenta analisi e una scrupolosa selezione dei titoli per gestire le esposizioni creditizie”.
Dal canto loro, nel loro commento odierno sui mercati, gli analisti di Mps Capital Services si sono così espressi:
“I timori recessivi sono tornati a dominare la scena nella giornata di venerdì dopo che, oltre ai PMI dell’Eurozona, anche quelli statunitensi hanno segnalato un forte deterioramento del sentiment delle aziende, con il dato Composite sceso sotto soglia 50 (prima volta dal 2020) per effetto soprattutto di un forte calo del comparto servizi. Gli effetti sui mercati si sono visti soprattutto sui bond governativi, con rendimenti in forte ribasso e tassi monetari che hanno ridimensionato le attese di rialzi Fed per quest’anno. Proprio la riunione dell’Istituto centrale USA sarà al centro dell’attenzione questa settimana, con il board che si trova a fronteggiare una situazione complessa visti i crescenti segnali di rallentamento dell’economia. Un rialzo da 75 pb in questa riunione sembra essere ormai scontato, ma vedremo se il peggioramento del quadro macro porterà il Governatore Powell a segnalare un rallentamento del ritmo di rialzi a tendere. Al momento gli OIS prezzano ulteriori 100 pb di rialzo da settembre a fine anno”.
Il punto è che gli ultimi dati sull’inflazione e anche sul mercato del lavoro Usa spingerebbero la Fed di Powell a mostrare il suo volto più hawkish.
Nel mese di giugno, l’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo ha segnato una crescita, su base mensile, dell’1,3%, superiore alle attese di un rialzo mensile pari a +1,1% e oltre l’aumento precedente di maggio, pari a +1%. La componente core, ovvero quella depurata dalle componenti più volatili rappresentata dai prezzi dei beni energetici e alimentari, è aumentata dello 0,7% su base mensile, più del +0,6% atteso e oltre anche il +0,6% precedente. Su base annua, l’inflazione è volata del 9,1%, al nuovo record di sempre, ben oltre il +8,6% previsto e il +8,3% precedente.
L’inflazione core è aumentata su base annua del 5,9%, a un ritmo inferiore rispetto al +6% precedente, ma anche in questo caso più delle attese. Immediata la reazione di alcuni economisti, come quelli di Nomura, che hanno reagito annunciando di prevedere una stretta monetaria fino a +100 punti base nella riunione del Fomc che prenderà il via domani.
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L’outlook hawkish degli esperti sui tassi Usa è stato confermato qualche giorno più tardi dalla pubblicazione del report sull’occupazione Usa di giugno, che ha messo in evidenza una crescita di 372.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione che è rimasto invariato al 3,6%.
La crescita dell’occupazione è stata decisamente più forte di quanto atteso dagli analisti: sia gli economisti di Goldman Sachs che il consensus avevano previsto un aumento di nuovi posti di lavoro di 250.000 unità, inferiore all’aumento delle payrolls di 390.000 del mese di maggio (numero che è stato rivisto al ribasso, a +384.000 unità).
E invece ancora una volta il mercato del lavoro Usa ha mostrato tutta la sua solidità, fattore che non dovrebbe a questo punto frenare la Fed di Jerome Powell dal continuare ad alzare i tassi in modo aggressivo.
Detto questo, nelle ultime settimane un alert sul rischio di recessione negli Stati Uniti e nel mondo è stato lanciato dal mercato dei Treasuries: indicativo il trend dei tassi dei titoli di stato Usa, con quelli decennali che hanno bucato di nuovo la soglia del 3%, tanto che, sebbene in rialzo, oggi viaggiano poco al di sopra della soglia del 2,8%.
A scivolare sotto il livello psicologico del 3% anche i tassi dei Treasuries a due anni, sebbene la curva dei rendimenti Usa, nel tratto tra 2 e 10 anni, rimanga invertita. E l’inversione della curva dei rendimenti è di per sé considerata segnale anticipatore di una recessione. I tassi dei titoli a due anni oggi viaggiano al di sopra del 2,99%, quindi sostanzialmente al 3% circa.