Fed alza tassi per sesta volta da fine 2015, ma dollaro giù. Powell avverte su prezzi azionario e immobiliare
La Federal Reserve guidata dal nuovo presidente Jerome Powell che, come indicato dal presidente Donald Trump ha sostituito Janet Yellen, ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, al nuovo range compreso tra l’1,5% e l’1,75%. E’ stato il sesto intervento sui tassi dal dicembre del 2015, e il primo del 2018, dopo l’ultimo rialzo del dicembre 2017.
Apportate modifiche al dot plot, ma non per l’anno in corso. La Fed prevede tuttora altri due rialzi nel 2018, per un totale di tre nell’anno: tale dichiarazione ha frenato i bullish sul dollaro, in quanto sui mercati alcuni trader e analisti avevano rivisto al rialzo le loro aspettative sui tassi, prevedendo fino a un totale di quattro interventi nel 2018.
Allo stesso tempo, la Banca centrale americana ha comunicato che, negli anni 2019-2020, i tassi sui fed funds saranno alzati in modo più sostenuto, tanto da prevedere per il 2019 tre interventi, rispetto ai due stimati finora, che porteranno il costo del denaro al 2,9%, rispetto al 2,7% atteso in precedenza.
Attesi inoltre altri due rialzi nel 2020, al 3,4%, rispetto al 3,1% dell’outlook di dicembre.
Il dollaro ha tuttavia scontato il fatto che i rialzi previsti per il 2018 rimangono tre.
Il Dollar Index è sceso così fino a -0,7% nelle contrattazioni overnight, mentre ora è in calo dello 0,3% circa, a 89,528 punti. L’euro si è di conseguenza rafforzato, e al momento è scambiato attorno $1,2370. Il rapporto dollaro-yen è in flessione attorno a JPY 105,68.
In quella che è stata la sua prima conferenza stampa nelle vesti di timoniere della Fed, Powell ha lanciato un alert sugli effetti del protezionismo e ha invitato alla cautela riguardo ai movimenti dell’azionario Usa.
“I prezzi dell’azionario e dell‘immobiliare commerciale di alcune aree sono elevati – ha detto – Ma non intravediamo tali rialzi nel mercato immobiliare residenziale, e questo è un fattore chiave”.
In generale, il presidente ha rassicurato che l’economia Usa non rischia di surriscaldarsi. Sull’argomento protezionismo, Powell non si è espresso più di tanto, ma ha affermato che le guerre commeciali sono diventate “un rischio più prominente sull’outlook” dell’economia.
La Fed di Jerome Powell ha rivisto inoltre al rialzo le stime sul Pil Usa del 2018 dal +2,5% atteso a dicembre al +2,7%; migliorato anche l’outlook del 2019, dal +2,1% precedente al +2,4%. Nel 2020, atteso un indebolimento del Pil al 2%, mentre in un’ottica di più lungo periodo le previsioni rimangono inchiodate a un ritmo di crescita dell’1,8%.
Il Fomc ha fatto notare che sia le spese delle famiglie, che gli investimenti fissi delle aziende “hanno moderato il passo rispetto ai forti trend del quarto trimestre”.
Riviste inoltre anche le attese relative all’inflazione, anche se quella per l’anno in corso è stimata all’1,9%, sia per l’indice complessivo che per la componente core, come in precedenza.
Per il 2019, si prevede invece un’accelerazione della componente core delle spese per consumi personali del 2,1%, più del 2% stimato in precedenza, a fronte del 2% dell’indice generale, come nelle previsioni di dicembre.
Nel 2020 l’inflazione è attesa infine al 2,1%, in rialzo dal 2% delle stime precedenti, sia per il dato generale che per quello core.
Altra variazione all’outlook è quella sul tasso di disoccupazione, che viaggia già ai minimi storici, pari al 4,1%.
Per il 2018, le attese sono di un calo al 3,8%, rispetto al 3,9% previsto a dicembre; per il 2019 si stima un ulteriore rallentamento al 3,6% dal 3,9% delle stime precedenti. Tagliato anche l’outlook del 2020, dal 4% al 3,6%.