Dollaro debole ostaggio di Trump e Fed. Ma nomina Lagarde a Bce frena anche l’euro
Dollaro ostaggio delle aspettative di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve e dei nuovi ennesimi tweet di Donald Trump. Focus sul trend del Dollar Index, che si muove poco mosso a 96,767, in recupero dal minimo degli ultimi tre mesi testati a giugno, in corrispondenza di quota 95,843. La valuta ha comunque accusato il nuovo attacco lanciato dal presidente, diretto questa volta contro la Cina e l’Europa.
“La Cina e l’Europa stanno facendo un grande gioco di manipolazione valutaria, iniettando moneta nei loro sistemi per competere contro gli Stati Uniti. Dovremmo metterci allo stesso livello, o continuare a essere gli stupidi che rimangono seduti, guardando educatamente gli altri paesi che continuano a fare i loro giochi, così come accade da diversi anni!“
Sul banco degli imputati finiscono dunque yuan ed euro, evidentemente troppo sottovalutati nei confronti del dollaro – secondo il presidente – e, per questo, ingiustamente competitivi nell’arena della guerra commerciale.
A questo punto, cruciale market mover del dollaro sarà la pubblicazione, nella giornata di domani, del report occupazionale Usa di giugno che, secondo gli analisti, metterà in evidenza la creazione di 160.000 nuovi posti di lavoro nel mese, rispetto all’aumento di appena +75.000 unità di maggio.
“Tutti, dalla Reserve Bank of Australia alla Fed, stanno parlando di come l’inflazione si stia mostrando deludente, rivelandosi debole”, ha commentato nel frattempo alla Cnbc Mayank Mishra, strategist macro presso Standard Chartered, a Singapore – e la Fed ha molto più spazio per rendere più accomodante la propria politica monetaria, rispetto a qualsiasi altra banca centrale. Questo particolare, in teoria, dovrebbe far deprezzare il biglietto verde”.
Detto ciò, il tweet di Trump ha indebolito il dollaro ma senza provocare grossi scossoni al mercato del forex.
Durante le contrattazioni asiatiche della sessione odierna, lo yuan offshore si è lievemente rafforzato dai 6,8847 della giornata di ieri a 6,8773, nei confronti del dollaro.
Lo yuan onshore è rimbalzato a 6,8691 rispetto ai 6,8806 della vigilia.
L’euro è salito fino a $1,1284 dagli $1,1279 di ieri, ma al momento risulta quasi piatto sul dollaro.
La sterlina oscilla sui minimi delle ultime due settimane nei confronti del dollaro, complici alcune speculazioni secondo cui anche la Bank of England deciderà di tornare a una politica monetaria accomodante.
Al di là delle minacce di Trump, c’è da dire che è possibile che ogni valuta dei paesi cosiddetti avanzati finirà per avere un margine di ribasso comunque limitato.
Questo, perchè diverse sono le banche centrali che hanno mostrato tutta l’intenzione di ricorrere a politiche monetarie più espansive. Certo, è vero che la Federal Reserve, avendo alzato i tassi negli ultimi anni, dispone di uno spazio di manovra più ampio; ma anche la Bank of Japan e la Bce sono pronte a fare il possibile per sostenere l’economia e risvegliare quell’inflazione che rimane ostinatamente dormiente.
Riguardo alla Bce, inoltre, la nomina dell’attuale numero uno del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde al posto di Mario Draghi, presidente uscente della Bce, ha sollevato gli spiriti delle colombe. Probabilmente Lagarde non sarà dovish come Draghi, che con il suo Whatever It Takes, ha sorpreso più volte i mercati, sfoderando bazooka vari e anche piuttosto creativi. Ma gli strategist ritengono che la funzionaria, comunque, non sarà un falco. E questo, per ora, basta a mettere un freno alla moneta.