Debito emergente, parola d’ordine cautela
Comincia oggi l’ultimo trimestre dell’anno, un periodo che potrebbe segnare un’inversione della tendenza vista da inizio anno fino ad oggi in riferimento agli equilibri fra Paesi sviluppati ed emergenti all’interno dei portafogli dei gestori di reddito fisso.
Il Dollar Index da inizio anno fino all’8 settembre scorso ha perso il 12,34%, giovando alle performance delle asset class denominate in valuta forte (oro e debito emergenti su tutti). Poi dal minimo raggiunto in tale data a 91 punti circa, il mercato ha avviato una veloce risalita sopra 93 punti.
Perché? Gli investitori posizionati sugli Stati Uniti cominciano a scontare il cambio di marcia che la Federal Reserve capitanata da Janet Yellen intende imprimere alla propria politica monetaria. Sono sempre più gli esperti che pensano che nella prossima riunione di novembre il tasso d’interesse di riferimento americano (c.d. Fed Funds) dovrebbe esser portato all’1,5% rispetto all’attuale livello di 1,25% (+25 punti base dunque, ndr).
Il sostegno offerto dal contesto globale al settore emergenti può proseguire?
Fino ad agosto, ad esempio, il debito in valuta locale ha generato un extra rendimento del 14,67% circa da inizio anno grazie al rafforzamento delle valute emergenti rispetto al dollaro americano.
Questo grazie al fatto che “i Treasury sono andati in rally e le commodity si sono stabilizzate”, ha commentato Anisha Goodly, emerging markets portfolio specialist di TCW. Allo stesso modo, nel confronto fra governativi e corporate, Goodly fa notare che “il debito sovrano in dollari ha sovraperformato quello societario in dollari quest’anno con ritorni che sono stati rispettivamente dell’8,98% e del 6,86%”.
Secondo gli esperti ulteriori mosse restrittive dovrebbero avvenire nel corso del 2018, con ricadute sugli investimenti all’interno dei Paesi emergenti. Un primo segnale colto dagli esperti è in effetti già avvenuto: i cross fra il dollaro e parecchie valute emergenti ha invertito la tendenza vista da inizio anno. Alcuni esempi: lira turca, rand sudafricano ma soprattutto peso messicano e peso argentino.
Cautela dunque sul settore emergenti perché, se da un lato “i contributi maggiori sono arrivati da parte di Argentina e Messico, grazie al miglioramento sul fronte geopolitico e della crescita economica”, come sostiene Goodly, dall’altro vi potrebbe essere il rischio che questi fattori di sostegno vengano meno nei prossimi mesi, con ricadute specifiche sul comparto.