Commerzbank, titolo in rally a Francoforte dopo rumor fusione UniCredit. Da inizio anno +55%
Il titolo Commerzbank si conferma tra i migliori della borsa di Francoforte, dopo le indiscrezioni trapelate in via esclusiva da Reuters, secondo cui la seconda banca tedesca sarebbe finita nelle mire dell’italiana UniCredit.
Il titolo, che già era salito ieri del 3%, è scattato subito al rialzo, balzando del 4% all’inizio della sessione e riportando il guadagno più forte dallo scorso 3 luglio, a 11,23 euro. Da segnalare che le quotazioni di Commerzbank hanno segnato un rally di quasi +55% dall’inizio dell’anno, sovraperformando il sottoindice di riferimento delle banche europee Stoxx Europe 600 Banks, avanzato dell’8,65%, e soprattutto la rivale Deutsche Bank, il cui titolo ha ceduto nel 2017 il 19,25%.
Nell’immediato, subito dopo la pubblicazione dei rumor, UniCredit ha reagito negativamente, cedendo alla vigilia quasi il 3% sul Ftse Mib: oggi l’azione si conferma in mattinata tra i titoli migliori del listino e alle 10.20 circa ora italiana sale dell’1,3%, a 17,70 euro, valore che attribuisce all’istituto guidato da Jean-Pierre Mustier una capitalizzazione appena inferiore ai 40 miliardi di euro, tre volte tanto quella di Commerzbank.
UniCredit ha guadagnato quasi il 10% nell’arco degli ultimi tre mesi.
Secondo fonti vicine al dossier, la banca italiana guidata da Jean-Pierre Mustier avrebbe già contattato il governo tedesco, che detiene una partecipazione del 15% in Commerzbank a seguito del salvataggio dell’istituto nei tempi della crisi finanziaria.
La banca tedesca sta ancora lavorando a un ampio piano di ristrutturazione, comprensivo di taglio dei costi, riduzione dei posti di lavoro, chiusura di filiali, dopo la crisi che l’ha investita nel 2008 a causa dell’acquisizione di Dresdner Bank, avvenuta per 9,8 miliardi di euro, proprio nel periodo buio del crash finanziario globale.
Tale processo ha costretto Commerzbank a contabilizzare un onere di ristrutturazione di 807 milioni di euro nei tre mesi terminati a giugno, in modo particolare per i tagli alla forza lavoro che sono stati scatenati dalla trasformazione digitale. L’onere è stato comunque inferiore agli 1,1 miliardi di euro attesi dall’istituto.