Citigroup non brinda a riforma fiscale Trump: svalutazione crediti di imposta peserà su bilancio per quasi $20 miliardi
Citi sotto i riflettori, dopo l’allarme lanciato dal direttore finanziario sull’impatto che la riforma fiscale Trump avrebbe sul bilancio, nel caso in cui diventasse legge.
Finora si è parlato prevalentemente degli effetti positivi che il cosiddetto bazooka fiscale avrebbe sulla Corporate America e sui singoli individui, attraverso un taglio delle tasse che è stato definito con aggettivi che vanno dallo storico, all’epocale, al rivoluzionario.
Ma per alcune aziende e anche per alcuni stessi colossi della finanza l’impatto non sarebbe necessariamente positivo. Soprattutto se le banche in questione hanno sui loro bilanci diversi crediti di imposta.
E’ il caso di Citigroup, come ha fatto notare il direttore finanziario John Gerspach, in occasione di una conferenza che si è svolta nella giornata di ieri a New York.
Oltre a prevedere un calo del fatturato del trading nel corso del quarto trimestre, Gerpach ha reso noto di stimare oneri sugli utili no-cash per un valore di circa $20 miliardi, pari al 10% del capitale degli azionisti.
Esattamente, ha spiegato Gerspach, se la riforma fiscale passasse, Citi sarebbe costretta a svalutare crediti di imposta iscritti a bilancio per un valore compreso tra $16 e $17 miliardi; in più, dovrebbe far fronte ad altri oneri per un valore compreso tra 3-4 miliardi a causa della tassa straordinaria che dovrebbe essere applicata agli utili conseguiti all’estero e rimpatriati.
Ma perchè la svalutazione dei crediti di imposta? La questione nasce dal fatto che la banca ha pianificato per questi asset l’applicazione di una tassa corporate – che è quella corrente – pari al 35%. Se le tasse verranno abbassate, come vogliono i repubblicani, al 20%, tali crediti di imposta avranno un valore inferiore per Citi, che si troverà dunque costretta a svalutare la differenza.
Doug Kass, direttore generale di Seabreeze Partners Management e autore di diversi articoli per Real Money Pro, ha fatto notare tra l’altro che, essendo il principale detentore dei crediti di imposta che si sono generati nel corso dell’ultima crisi finanziaria, Citigroup è “la banca più vulnerabile alla probabile introduzione delle tasse più basse”.
Kass ha citato anche la nota di Keefe Bruyette, secondo cui le svalutazioni dei crediti di imposta colpiranno anche Bank of America (con oneri per $6,6 miliardi, Wells Fargo ($4 miliardi) e Goldman Sachs ($1,6 miliardi).