Carige, fondo Apollo bocciato ma ci riprova. Verso soluzione di sistema con aumento capitale da 750 milioni
Il mercato non sembra approvare affatto la soluzione di sistema per Carige che sembra farsi sempre più concreta. I titoli del settore bancario sono sotto pressione a Piazza Affari. Sotto pressione è anche Ubi Banca, nonostante la smentita dei rumor che la davano come potenziale cavaliere bianco della banca ligure.
La riunione dell’Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) che si è svolta ieri ha ufficialmente bocciato l’offerta del fondo Apollo, lanciando piuttosto l’opzione di una soluzione di sistema. Una soluzione, dunque, che comporti la partecipazione di tutte le banche aderenti allo Schema volontario dell’Fitd, insieme a quella dello Stato e dei soci dell’istituto.
Il quotidiano La Repubblica parla di un piano che punterebbe a “un aumento di capitale fino a 750 milioni, quindi con altri 400-450 milioni, oltre a quei 312 milioni di euro di bond che sono stati sottoscritti dall’Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) e che con la conversione diventeranno azioni”.
Intanto, il fondo Apollo non si è arreso e nella serata di ieri è tornato a presentare una nuova offerta che comporta la partecipazione del Fondo interbancario e dei soci, stando al comunicato diramato dalla stessa Carige:
“Carige comunica che nella serata i Commissari hanno ricevuto da Apollo Global management una proposta di intervento a supporto della Banca. La proposta, che prevede la partecipazione del FITD e degli attuali azionisti di riferimento, è stata agli stessi prontamente inoltrata per le valutazioni del caso”.
Successivamente alla riunione il Fondo ha a sua volta emesso una nota in cui ha certificato il no al fondo Apollo:
«Il Consiglio di gestione dello Schema Volontario, riunitosi in data odierna, dopo un attento esame della situazione e delle prospettive di Banca Carige, ha ritenuto di non poter accogliere l’ipotesi di intervento allo stato prospettata da un Fondo di Private Equity (ovvero dal fondo Apollo, di cui per l’ennesima volta si è deciso di non fare il nome)». Lo schema volontario del Fitd ha manifestato «al tempo stesso il fermo intendimento di intervenire, anche in tempi ristretti, nella soluzione della crisi della banca, con la disponibilità a valutare nell’ambito dei propri organi e in coerenza con le disposizioni statutarie proposte di intervento che prevedano la partecipazione degli attuali azionisti e di partner pubblici o privati».
Il comunicato del Fondo ha infine concluso che “già a partire da domani (oggi per chi legge)” sarà avviata “un’analisi approfondita degli assetti tecnici e organizzativi della banca, per definire il fabbisogno di capitale e le connesse proiezioni economico-finanziarie pluriennali, idonee a sostenere un piano industriale efficace e credibile”.
L’Fitd avrebbe dunque deciso di mettersi in prima linea per il salvataggio di Carige. La Repubblica illustra intanto il modo in cui il salvataggio sarebbe orchestrato, nel caso in cui dovesse farsi avanti un ipotetico partner industriale.
“Il partner industriale, se salterà fuori, dovrebbe coprire circa metà dei 300 milioni dei fondi che arriveranno da nuovi soci, in tandem con il Fondo tutela depositi (nella versione obbligatoria), che ha una dote versata di 1,4 miliardi pronta all’uso e potrebbe tornare un’ipotesi praticabile (benché resti pendente il ricorso dell’Antitrust Ue al verdetto della Corte di giustizia che a marzo ha demolito i veti di Bruxelles sul suo utilizzo per salvare la Tercas nel 2014). A colmare il fabbisogno resterebbe poi l’obolo degli azionisti attuali, disposti a investire fino a un centinaio di milioni (circa metà dal gruppo Malacalza, che ha il 27,7% del capitale)”.
A soffrire a Piazza Affari è l’intero comparto bancario, che gli investitori vedono alle prese con una nuova zavorra/patata bollente.
I rumor su un aumento di capitale da 750 milioni finanziato con la conversione dei bond dell’Fitd e con un intervento concertato delle banche italiane, mettono sull’attenti gli investitori che guardano agli istituti di credito, già alle prese con diverse grane (i BTP in pancia e il rischio di una loro svalutazione, legati al rischio di una procedura di infrazione contro l’Italia e, in generale, a una crisi di fiducia nei confronti del paese; i crediti deteriorati; il contesto di bassa redditività che sembra farsi ormai cronico vista la promessa della Bce di Mario Draghi di intervenire ancora, in caso di bisogno).
Per la precisione, si guarda con preoccupazione alla possibilità – sempre più realistica – che le banche versino di tasca propria parte dei fondi necessari. Una prospettiva che, ovviamente, non piace al mercato.
Le conseguenze sono negative, proprio per la relazione che esiste tra banche italiane e BTP (il fenomeno del cosiddetto doom loop), anche per i titoli di stato italiani.
Il Corriere della Sera riporta intanto altre indiscrezioni, secondo cui Mediocredito Centrale, istituto al 100% di Invitalia, potrebbe scendere in campo con un investimento di circa 200 milioni di euro per la banca ligure.