Brexit: ‘Catastrofe’, ‘scaricabarile’, Ue perde staffe contro Johnson. E ora ritorno alle urne in UK più probabile
Tutti contro Boris Johnson: la cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo cui un accordo a questo punto è quasi impossibile; il numero uno del Parlamento europeo David Sassoli, che paventa una catastrofe in caso di no Deal Brexit, e che certifica l’assenza di qualsiasi progresso nelle trattative UK-Ue; il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: “Fai lo stupido scaricabarile”.
Di seguito, il comunicato di David Sassoli sulla Brexit:
#Brexit – Statement by David Sassoli, president of the European Parliament https://t.co/I3pfpRr7VA
— EU Reporter (@eureporter) October 9, 2019
I’ve just had a meeting with PM @BorisJohnson in London. I came here in the confident hope of hearing proposals which could take Brexit negotiations forward. However, I must note that there has been no progress. pic.twitter.com/Uygtd9IKoH
— David Sassoli (@EP_President) October 8, 2019
“I would’ve thought 30 years on from the collapse of the Berlin Wall our destiny would not be to separate. We’ve done a lot to build an EU despite our differences… and now we… are dividing”
– European Parliament President, David Sassoli#Newsnight pic.twitter.com/Y3SrCABh5K
— BBC Newsnight (@BBCNewsnight) October 8, 2019
E tuttavia, a dispetto dei toni che si stanno facendo sempre più agguerriti tra i leader europei, da un lato, e Boris Johnson dall’altro, il rischio di un no-deal Brexit si starebbe allontanando, più per forza di cose, che non per la decisione degli attori coinvolti in quella che è diventata una storia infinita.
E’ questa, almeno, l’idea di James Smith, economista per i paesi avanzati di ING.
“In assenza di un accordo entro il prossimo 19 ottobre, il governo sarà obbligato a chiedere l’estensione dell’Articolo 50 – spiega Smith in una nota – E se non lo farà, è probabile che la questione (della Brexit) finirà nei tribunali: ma in un modo o in un altro, un ulteriore ritardo del processo della Brexit è inevitabile”.
Di conseguenza, un no-deal Brexit il prossimo 31 ottobre (data ufficiale in cui il Regno Unito dovrebbe lasciare l’Ue) appare piuttosto improbabile”. Così come “è improbabile che si giunga a un’intesa che, tra l’altro, dovrebbe essere approvata dal Parlamento nei prossimi giorni”. I tempi, d’altronde, sono stretti e “le trattative sono vicine a un punto di rottura a causa di un mancato accordo sull’Irlanda del Nord”.
A questo punto, cosa potrebbe accadere dopo il 31 ottobre? ING ritiene che la serie degli eventi “quasi certamente aprirà la porta alle elezioni generali per la fine del 2019, scatenate molto probabilmente da un voto di sfiducia nei confronti del governo”. Le valutazioni che i Conservatori stanno facendo in vista del ritorno alle urne sarebbero tuttavia, secondo Smith, errate.
I Tories sperano, intanto, (così come il resto del Regno Unito), che l’Unione europea possa essere più aperta a trattare dopo le elezioni generali, (i Conservatori vengono dati per favoriti nei sondaggi, con un consenso del 30% circa), e iniziano a credere, anche, che prima o poi l’irlanda si arrenderà, consapevole del fatto che lo spettro di una no-deal Brexit sarà sicuramente negativo per la sua economia.
A “Westminster – si legge nella nota di ING – l’impressione è che l’Irlanda, alla fine, possa decidere di andare incontro alle proposte UK per evitare il danno potenziale”.
Ma le aspettative del governo e del Parlamento sulle mosse di Dublino sono per caso del tutto campate in aria?
James Smith ricorda che diverse sono le ragioni che indurrebbero Dublino a rimanere ferma sul backstop del confine irlandese, e non solo per la necessità di garantire il processo di pace che quel backstop simboleggia.
Ci sarebbero, infatti, anche tre considerazioni tattiche.
La prima è che, se Dublino finisse per firmare un accordo che garantisse la presenza di un confine netto tra le due Irlande (il cosiddetto hard border), la mossa potrebbe essere interpretata in modo molto sfavorevole dall’elettorato irlandese. Di conseguenza, 2): l’influenza del governo irlandese potrebbe diminuire gradualmente nella seconda fase delle trattative commerciali, a fronte di una miriade di interessi economici e strategici dei singoli paesi membri dell’Ue. Terza considerazione, il timore di un no-deal potrebbe indebolire la posizione del Regno Unito stesso che, alla fine, molto probabilmente deciderebbe di convergere sulla decisione del backstop del confine irlandese, in un’ottica di più lungo periodo. Rimarrebbe in essere, inoltre, la riluttanza europea a concedere agli UK un’eccezione alle norme doganali Ue.
Tutto ciò, secondo l’economista di ING, significa che, a dispetto delle speranze che un governo di conservatori post elezioni generali possa avere maggiori chance di vedere approvata dall’Ue la sua proposta sulla Brexit, alla fine il ritorno al voto non cambierebbe l’atteggiamento di Bruxelles, e dunque il rischio di un no-deal Brexit, in definitiva, sarebbe solo posticipato.
Tra l’altro il potere che il Parlamento britannico ha di bloccare uno scenario di “no-deal” diminuirebbe in modo consistente, se i conservatori, con le elezioni generali, riuscissero ad assicurarsi una maggiornza più solida rispetto a quella attuale.
Detto questo, nella nota “Don’t Bet on a No-Deal Brexit After a UK Election”, James Smith sottolinea anche che i rischi di un no-deal Brexit, nel lungo termine, potrebbero portare i Conservatori a rivedere la loro determinazione a realizzare una Brexit a tutti i costi, viste le ripercussioni commerciali di un mancato accordo. Il Regno Unito dovrebbe a quel punto attenersi alle regole del WTO negli scambi con l’Ue, fattore insostenibile che alla fine porterebbe di nuovo Londra e Bruxelles a trattare sul commercio, con un dispendio di tempo e di risorse che posticiperebbe ulteriormente la realizzazione dell’agenda economica di governo.
Una situazionr di no-deal non sarebbe inoltre sicuramente il massimo, nel caso di di nuove ennesime ulteriori elezioni anticipate che, a quel punto, potrebbero significare la sconfitta dei conservatori.