Bolla si, bolla no? Intanto il Nasdaq ieri è risorto, con la miglior seduta del periodo post-Trump. Attenzione ai livelli tecnici
Ieri il Nasdaq è tornato a dir la sua a Wall Street. L’indice tech statunitense ha portato a casa un guadagno dell’1,43 per cento: è stata la miglior seduta del periodo post-Trump, ossia dal 7 novembre scorso quando le quotazioni erano salite del 2,4% in un solo giorno.
“Tecnicamente il Nasdaq ha sfruttato il contatto con la Media mobile a 50 periodi transitante a 6144.075 punti per rimbalzare”, ha commentato Greg Michalowski di Forexlive, “l’umore del mercato può tornare positivo se l’indice supera le resistenze a 6.227 punti. Viceversa, se le quotazioni dovessero nuovamente stornare sotto i 6.207 punti”.
Il pressing degli investitori nei confronti dei titoli tecnologici sta pian piano tornando nei ranghi. Dopo l’alert lanciato da Goldman Sachs la scorsa settimana, analisti e investitori da tutto il mondo sono concentrati sull’analisi dei titoli tecnologici quotati a Wall Street, con il timore che siano ostaggio “di bassa volatilità e valutazioni tiratissime”. Ma sono davvero così alte le valutazioni del settore? Per Quirien Lemey, co-gestore del fondo DPAM Invest B equities world sustainable di Degroof Petercam AM, la risposta è si, ma non occorre allarmarsi.
“Le valutazioni elevate non sono necessariamente un problema”, sostiene Lemey, “se guardiamo al settore tech negli ultimi 2,3,4,5,10 o 20 anni ha costantemente sovraperformato il mercato: i premi alla valutazione erano dunque meritati”. Siamo piuttosto in presenza di un cambiamento strutturale nel modo di valutare il settore – prosegue Lemey, secondo cui “il mercato è disposto a sopportare un multiplo più alto per il rischio che sta correndo poiché è a suo agio con quel rischio”.
Eclatante è l’esempio di Facebook, con il rendimento del titolo che ha sempre seguito il sentiero tracciato dalle valutazioni. “Ad eccezione del 2012 (anno dell’IPO DI Facebook, ndr) il titolo è legato positivamente ai livelli di valutazione: più alta la valutazione più è stato alto il rendimento del titolo in quel particolare anno”, sostiene Lemey. Ovviamente non è tutto oro quel che luccica. Ne sono un esempio eclatante le recenti valutazioni sui titoli del c.d. “new tech”, come Uber o Snap.
Non è tutto oro ciò che luccica
Esistono infatti dei sotto-comparti tecnologici dove le valutazioni, alle volte, possono essere irrazionali. E lì, ricorda Lemey, che si potrebbero annidare le caratteristiche di una bolla. “L’Ipo di Snap è stata assurdamente costosa: tipicamente si vedono valutazioni ardue da digerire lì dove vi sono poche compagnie quotate e le opportunità di crescita sono solo potenzialmente notevoli”.
Non bisogna dimenticare infatti che i prezzi dei titoli sono fatti dagli operatori del mercato, o meglio, dalle loro aspettative. “Ecco perché a parità di circostanze, a volte nei sotto-comparti tecnologici vi è il rischio di valutazioni o aspettative irrazionali. Ma non siamo in una situazione nemmeno lontanamente paragonabile a quella di inizio millennio”.
Il 2000 si sta ripetendo? Le differenze con la bolla dot.com
Per il gestore di Degroof Petercam quello che è in atto oggi è totalmente diverso rispetto a quanto accadde agli inizi del 2000, “allora le valutazioni erano veramente basate sul nulla, con multipli che alle volte erano di tre volte più elevati rispetto ad oggi”. Oggi l’ambiente è totalmente cambiato; se all’epoca la maggioranza delle aziende lavorava in situazioni di perdita o scarsa redditività, oggi i big del settore sono vere e proprie macchina da soldi.
Le c.d. FAAMG (Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e Google) macinano utili operativi e netti ma soprattutto ingenti quantità di cassa: “liquidità pronta a gonfiare aspettative e fondamentali aziendali e a dirci che no, non siamo di fronte a comportamenti o aspettative irrazionali e dunque non vi è il rischio di una nuova bolla nel settore tecnologico”.