Bce-Fed: per i mercati Lagarde taglierà più di Powell nel 2024
Nell’ultima settimana le certezze dei mercati su un taglio dei tassi a giugno da parte della Bce si sono leggermente affievolite, mentre i rendimenti dei titoli di Stato hanno registrato una certa volatilità in scia ai Treasury americani. Con l’avvicinarsi della primavera, stiamo entrando nella fase decisiva per determinare quando e quanto sarà possibile ridurre il costo del denaro. E non è da escludere che la Bce, dopo aver varato il nuovo assetto operativo per le decisioni di politica monetaria, si muova prima della Fed sui tagli.
Stournaras: “Quattro tagli nel 2024, due prima della pausa estiva”
“Due tagli prima di agosto e altri due entro fine anno”. Il governatore della banca centrale greca, Yannis Stournaras, è stato il più esplicito tra i membri del Consiglio direttivo della Bce nelle sue previsioni sul percorso dei tassi di interesse nel 2024.
“Dobbiamo iniziare presto, in modo che la nostra politica monetaria non diventi troppo restrittiva”, ha affermato, allineandosi alle aspettative più ottimistiche dei mercati.
Stournaras ha escluso un intervento nella riunione di aprile, sostenendo che per assistere ad una mossa così anticipata “dovremmo vedere l’economia crollare, ma non me lo aspetto”. All’interno del Consiglio, il membro greco è considerato una “colomba”, ovvero con posizione piuttosto accomodanti rispetto alla media.
Le posizioni degli altri membri della Bce
Più conservativo il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che prevede un taglio dei tassi “in primavera”, con maggiori probabilità per la data del 6 giugno rispetto all’11 aprile. “Siamo molto pragmatici e vedremo in base ai dati”, ha concluso il banchiere.
Ancor più vago il suo collega lettone, Martins Kazaks, il quale ha affermato che se l’economia dell’area euro “seguirà più o meno” le previsioni della Bce ” la decisione potrebbe essere presa entro i prossimi incontri”.
Il belga Pierre Wunsch si è invece limitato a riconoscere che, alla fine, i politici dovranno abbassare i tassi senza avere la certezza che l’inflazione stia tornando all’obiettivo del 2%. L’olandese Knot si è pressoché allineato su giugno, mentre il capo economista Philip Lane si è rifiutato di fornire dettagli, sottolineando che i funzionari non dovrebbero guardare oltre “il prossimo incontro o due”, quindi non al di là di marzo-aprile.
Consensus su giugno ma servono più dati
Nel complesso, comunque, le indicazioni dei funzionari e dei mercati stanno convergendo sull’appuntamento di giugno, anche se il Consiglio Direttivo vorrebbe maggiori prove che l’inflazione si stia raffreddando, dirigendosi verso l’obiettivo del 2%.
Come sottolineato dallo stesso Stournaras, “il 30% dell’inasprimento derivante dai passati aumenti dei tassi di interesse è ancora in cantiere”, quindi deve manifestarsi a pieno sui mercati. Inoltre, “il bilancio della Bce si ridurrà di circa 800 miliardi di euro, a causa dei rimborsi TLTRO e della graduale eliminazione dei reinvestimenti dell’APP e del PEPP”. Elementi che, così come gli aumenti dei tassi di interesse, “portano a condizioni finanziarie più restrittive”.
I prossimi indicatori chiave
I dati chiave per le decisioni dei funzionari saranno quelli di aprile sulle negoziazioni salariali, disponibili nella riunione di giugno. Per Stournaras, non va eccessivamente enfatizzato il rischio di una spirale salari-prezzi, tanto più che “la crescita delle retribuzioni nominali si sta moderando e i profitti stanno assorbendo parte degli aumenti”.
Nel breve termine, i primi indicatori da monitorare sono gli indici Pmi preliminari di marzo, in uscita la prossima settimana. Intanto, la produzione industriale della zona euro è crollata del 3,2% a gennaio, pesando verosimilmente sulla crescita del primo trimestre.
Altri eventuali segnali di debolezza potrebbero porre maggiori pressioni per un taglio dei tassi. Ricordiamo che nella riunione della scorsa settimana la Bce ha già abbassato le sue previsioni sul Pil del 2024 e la presidente Christine Lagarde ha affermato che le prospettive per l’economia sono “moderate”.
Bce e Fed: chi taglierà prima i tassi?
Alcuni ritengono che la Bce possa attendere una mossa della Fed prima di iniziare a tagliare i tassi. Un’ipotesi respinta con forza da Stournaras, secondo cui i funzionari europei devono fare solo ciò che è necessario per l’economia dell’area euro.
La situazione nel blocco della moneta unica è “molto diversa” da quella degli Stati Uniti, dove l’economia è in crescita, anche grazie a una politica fiscale espansiva, e l’inflazione è più vischiosa. Motivi per cui “la tesi a favore dei tagli dei tassi è molto più decisiva per l’Eurozona che per gli Stati Uniti”.
Anche la presidente Lagarde ha ribadito che l’istituto da lei guidato agirà in maniera indipendente, mentre altri membri, come l’austriaco Robert Holzmann, sostengono che la Bce non dovrebbe muoversi per prima.
In ogni caso, la riunione di giugno della Bce si terrà il 6 giugno e quella della Fed il 12; inoltre, gli ultimi dati americani sul mercato del lavoro e sui prezzi al consumo e alla produzione hanno ridotto le chance di un taglio in quell’appuntamento, a favore del successivo meeting del 31 luglio.
Le aspettative sulle mosse di Bce e Fed
Alla luce di queste dinamiche, ora i mercati stimano che la Bce possa realizzare un allentamento monetario complessivo, nel corso del 2024, persino superiore a quello della controparte statunitense, guidata da Jerome Powell.
Le previsioni del mercato degli swap indicano una riduzione media complessiva di 86 punti base da parte della Bce, l’equivalente di 3-4 tagli da 25 punti base ciascuno. I futures sui Fed Funds prevedono invece un allentamento totale di 74 punti base, ossia all’incirca 3 mosse.
Il taglio dei tassi entro giugno da parte della Bce viene prezzato con una probabilità dell’86%, mentre per la Fed viene scontato al 61%, lasciando molta più incertezza sulla sua effettiva realizzazione.
Nel frattempo, i rendimenti obbligazionari hanno registrato una parziale risalita, dopo il netto calo della prima parte di marzo. Il Btp decennale è risalito al 3,7%, mentre il Bund si attesta al 2,44%, con lo spread poco mosso a 126 punti base. A guidare il rialzo dei rendimenti è stata soprattutto la performance dei titoli statunitensi, con i decennali sopra il 4,3%, dopo i dati sui prezzi alla produzione e le vendite al dettaglio.